Harley-Davidson Sporster: la storia, le special e la pubblicità. Una sezione dedicata alle Buell motorizzate Harley-Davidson.

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martedì 17 ottobre 2017

XR 750 - 1970

harley davidson xr 750 first model 1970
XR 750 first model

harley davidson xr 750 alloy xr side right
XR 750 - Alloy XR

harley davidson xr 750 alloy xr side left

harley davidson xr 750 alloy xr picture

harley davidson xrtt 750 side right
XRTT 750

harley davidson xrtt 750 side left

Progettata per correre e vincere!


La XLR era stata un'ottima moto e si era ben difesa nelle competizioni a cui aveva partecipato tuttavia, dopo circa sette anni che era in produzione, a Milwaukee capirono che ci voleva una vera e propria moto da corsa in grado di sbaragliare la concorrenza. Lo spunto venne dato da una novità nel regolamento tecnico dell'AMA, quando fu abolito il limite di 500 cc nelle gare per i motori con valvole in testa. 

La XR 750 venne realizzata in soli quattro mesi ed apparve immediatamente sui circuiti. Fu una moto studiata e pensata appositamente per le gare, ricavata da un modello di serie: motore XLR elaborato inserito in un telaio KR del 1967. Il nome non fu scelto a caso. La X identificava il modello Sportster, mentre la R le versioni racing. 
Contrariamente alla tendenza americana, su questa moto vennero cercati più cavalli riducendo la cilindrata del motore, che passò da 883 a 750, sebbene il motore stesso rimase sostanzialmente quello dello Sportster

Infatti, rispetto al modello XL di serie, non fu cambiata nemmeno la disposizione degli organi interni al motore: albero della trasmissione davanti, cambio a quattro marce dietro, primaria e frizione alloggiati a sinistra, lubrificazione a carter a secco con pompa dell'olio sulla destra.
Il telaio, derivato dalla KR, era in tubi “highboy” di  acciaio al cromo-molibdeno da un pollice (2,54 cm) di diametro, con forcellone da un pollice e mezzo su cui lavoravano due ammortizzatori Girling.  All'avantreno una forcella teleidraulica Ceriani.

Nel corso degli anni la XR 750 subì costanti aggiornamenti.  Nella prima versione il motore fu in ghisa e montò un carburatore singolo di marca Tillotson, ma ben presto si dovette intervenire. Sebbene il motore a corsa corta fosse la configurazione ottimale nella ricerca delle prestazioni,  sorsero comunque problemi di affidabilità dovuti sia al surriscaldamento dei cilindri a causa di una ridotta alettatura di raffreddamento degli stessi, sia all'albero motore. Inoltre la moto  si rivelò ben presto molto più lenta della vecchia KR 750 a valvole laterali.  Alcuni corridori tentarono di risolvere il problema montando fino a quattro radiatori dell'olio, ma furono tentativi vani. L'esordio alla 200 miglia nel 1971 fu terrificante e quasi tutte le XR si ritirarono. A Milwaukee corsero ai ripari incaricando Dick O'Brien di intervenire sui motori rendendoli più affidabili ma anche più potenti (inizialmente sviluppavano 62 cv a 6200 giri). 

Nel 1972 il nuovo motore vide la luce.
La novità più importante fu l'ampio utilizzo della lega di alluminio che sostituì quasi integralmente la ghisa (di qui il soprannome della moto “Alloy XR”). Altre importanti novità riguardarono l'aumento delle alette dei cilindri (diventate dodici), che consentì un miglior raffreddamento.  Furono ridisegnate le testate,  fissate ai cilindri attraverso lunghi prigionieri che partivano dal basamento, vennero utilizzate valvole dal diametro più piccolo inclinate tra loro di 68 gradi, invece dei precedenti 90. Il rapporto di compressione aumentò, arrivando a 10,5:1, così come il regime di rotazione, grazie all'utilizzo di bielle più corte che permisero di diminuire ulteriormente la corsa del motore a favore dell'alesaggio. Due carburatori Mikuni da 36mm con valvola a ghigliottina presero il posto di quello singolo. Una caratteristica della XR 750, in questa evoluzione, fu il montaggio da parte di alcuni piloti di due impianti di accensione che potevano funzionare in maniera indipendente uno dall'altro attraverso un pulsante sul manubrio. Ogni impianto agiva sulla coppia di candele (una per cilindro). Uno era a magnete, mentre l'altro funzionava con una piccolissima batteria. Attraverso questo piccolo espediente si poteva intervenire sull'erogazione del motore per renderla più renderla più dolce o aggressiva, a seconda delle necessità e degli stili di guida. In questa prima evoluzione il motore in alluminio arrivò a poco più di 70 cv a 7.600 giri. Ben pochi rispetto alla precedente unità in ghisa......
Si decise ancora una volta di intervenire. Ben presto si raggiunsero gli 80 cv per poi arrivare, nel 1975, al limite dei 90 cv a 9000 giri, con un peso di 134 kg.

La XR 750 non solo fu una delle icone da corsa Harley-Davidson, ma si rivelò moto particolarmente longeva ed ampiamente utilizzata sugli ovali in terra battuta per quasi quarant'anni (!!!!!!)

La XR 750 è anche la moto immortalata nel celebre film di Steve McQueen “On any Sunday”, guidata da Mert Lawwill,  icona delle gare di flat-track per molti anni con Jay Springsteen e protagonista di follie su due ruote con il più famoso stunt-man Evel Knievel.
Il suo utilizzo però non venne limitato agli sterrati, ma anche ai circuiti asfaltati, attraverso appositi adattamenti.  Questa versione venne denominata XR-TT.



martedì 10 ottobre 2017

XLH - 1958/1972

sportster xlh 1958 blue and white

sportster xlh 1958 red and white side right

sportster xlh 1958 red and white side left

sportster xlh 1971 boat tail blue side right
XLH 1971 boat tail

sportster xlh 1971 boat tail green side right
XLH 1971 boat tail

sportster h logo

sportster xlh 1958 adversiting

La versione più potente della XL da cui nacque la CH.


Una trattazione a parte deve essere effettuata per la XLH, anche a causa del fatto che rimase in produzione molto a lungo. 
La moto prese vita quando a Milwaukee decisero di incrementare la potenza alla XL. Ciò avvenne attraverso una serie di interventi come  l'aumento del rapporto di compressione dagli originari 7,5:1  a 9:1, del diametro delle valvole e l'adozione di punterie più leggere. Venne montato un cambio più robusto ed una frizione in bagno d'olio. Queste soluzioni fecero aumentare la potenza del 12%. 
Nel 1957 la moto aveva circa 40cv che divennero 45 nel 1958. 

Il nuovo motore fu chiamato Sportster H, grazie ad un'idea del marketing, per differenziarlo dal semplice motore dello Sportster.  Da qui prese il nome XLH

La nuova XLH era una moto minimalista, destinata a far sognare le giovani generazioni. Durante un arco di tempo di circa dieci anni subì piccoli ma costanti  interventi. Dal 1958, vennero create diverse versioni dello Sportster, contraddistinte da differenti lettere. La C indicava una versione scrambler con ruote tassellate (di cui si poteva scegliere la misura al momento dell'acquisto), la lettera H, come detto, indicava il nuovo motore più potente, mentre la R era riferita alle versioni racing. 

Vi furono, così, numerosi modelli e sigle, a seconda del tipo di motore montato e della connotazione: XL, XLH, XLC, XLCH ed XLR XLR di cui abbiamo già parlato.

Tra il 1970 ed il 1971 la XLH venne presentata con un rivoluzionario parafango posteriore chiamato  “boat tail”, il cui design era ispirato al mondo nautico, creato da Willie G. Davidson  (montato anche sulla Super Glide), ed abbinato ad un faro tondo di chiara ispirazione automobilistica. Queste modifiche cambiarono la linea dello Sportster drasticamente, rappresentando il primo esempio di customizzazione realizzato direttamente dalla Company
La nuova linea non incontrò il successo previsto e di XLH ne furono prodotte meno di 4000 esemplari (contro i 6800 della XLCH prodotte nello stesso anno). 

Il 1972 fu un anno molto importante per lo Sportster, in quanto venne portata la cilindrata a 1000 grazie all'alesaggio maggiorato. La potenza salì a 61 cv con una velocità massima di poco inferiore ai 190 km/h. Tale scelta fu fatta per competere con la concorrenza inglese e giapponese, ma la moto restò comunque vecchia, con notevoli vibrazioni e molto faticosa da guidare. Nonostante fosse stato introdotto il freno a disco, l'evoluzione fu talmente lenta che si cercò in qualche di correre ai ripari. Inoltre altri problemi afflissero la Company. I famigerati sixties,  gli anni della ribellione giovanile, finirono. La moto cambiò improvvisamente pelle diventando un mezzo affidabile non più solo per determinate categorie di persone. A questo cambiamento contribuì molto l'industria giapponese con i suoi quattro cilindri estremamente potenti, ma altrettanto affidabili, che necessitavano di pochissima manutenzione. In breve tempo le Harley-Davidson diventò la moto dei  “delinquenti” e dei poliziotti.  

Dal 1957 al 1972 vennero costruite 82.300 Sportster e, ben presto, altre novità avrebbero riguardato questa moto......


martedì 3 ottobre 2017

XLR - 1961

harley davidson xlr 1961 red side right

harley davidson xlr 1961 red side left

harley davidson xlr 1961 red front right angle

harley davidson xlr streamliner at bonneville with cal rayborn
XLR streamliner and Cal Rayborn at Bonneville

E' tempo di record!


Si trattò di una versione più esasperata della XLCH, nata ad opera del reparto corse per le gare da dirt-track. 

Questa moto si differenziò dalle precedenti H, il cui sviluppo era iniziato nel 1958, per alcuni aspetti che ne esaltavano lo spirito racing. 

Fu adottato lo stesso telaio della KR, ma irrobustito con due tubi nella parte in prossimità del cannotto di sterzo. Gli ammortizzatori, come sulla KRTT, erano stati montati appena dietro alla sella. Il gruppo termico in ghisa venne alleggerito attraverso dei fori fatti a mano.  Il magneto spostato davanti al cilindro anteriore, al posto della dinamo, invece che sul carter destro. Si intervenne su alberi a camme, teste, volani, pistoni e valvole diverse. 
La moto sviluppò quasi 80 CV su 136 chili. Rimase in produzione fino al 1969. 

Nel 1970 Cal Rayborn stabilì il record di velocità di 427 km/h sul lago salato di Bonneville con lo streamliner. 

martedì 26 settembre 2017

XLCH - 1958

sportster xlch 1958 blue and white

sportster xlch 1958 red and white

sportster xlch racing 1958 black and white
XLCH Racing

sportster xlch 1958 adversiting

Nata per gli smanettoni.


Dal 1958 lo Sportster subì degli aggiornamenti miranti ad esaltarne la performance.  
Nacque la XLCH,  ove la sigla CH significava “Competition Hot” (per alcuni la sigla sta per “California Hot”).  

Si trattò principalmente di modifiche riguardanti il motore attraverso la modifica delle testate, dotate di valvole maggiorate, nuovi alberi a cammes dal profilo più spinto, pistoni bombati e punterie alleggerite. 

In linea con il carattere racing della moto, vennero montate delle sovrastrutture minimaliste. Con la XLCH iniziò anche la storia del “peanut tank”, il piccolo serbatoio da otto litri che, per anni, caratterizzerà la linea dello Sportster. In origine la sua adozione fu imposta da necessità legate alle competizioni.  Agli inizi degli anni cinquanta le gare di dirt-track si svolgevano sulla distanza di duecento miglia, oppure cento giri:  perciò abbastanza lunghe. Al contrario, quelle di short-track erano molto corte ed un serbatoio troppo grosso era un handicap.
Accadde, quindi, che il peanut, previsto in un secondo tempo come optional, venne montato, poi, anche sulle versioni scrambler dello Sportster grazie alla sua linea che ben si integrava con il resto della moto. 

La nuova moto venne subito accolta dai giovani smanettoni americani. Gli oltre sessanta cavalli, in grado di far coprire il quarto di miglio in poco più di sessanta secondi, con una velocità di punta pari a centocinquanta chilometri all'ora, fecero diventare la XLCH il mezzo ideale per quanti volevano scorazzare sulle strade. Poiché verrà utilizzata anche per fare fuori strada, nel catalogo della Harley-Davidson furono previsti degli scarichi alti. 

Se il motore fu il punto forte del mezzo, cambio e ciclistica ne rappresentarono gli aspetti problematici. Il primo,  molto fragile,  subirà nel corso degli anni diversi aggiornamenti. La ciclistica, invece, offrirà una grande maneggevolezza a scapito della tenuta di strada. Questo porterà diversi giovani “riders”, non all'altezza del mezzo, ad avere numerosi incidenti e lo  “Sportster knee” diventerà tristemente famoso.  

Per anni la XLCH dominerà incontrastata sulle strade americane. Scomparirà dal catalogo nel 1979, dopo aver ottenuto il miglior risultato di vendite nella sua classe.


lunedì 18 settembre 2017

XL Sportster - 1957

xl sportster 1957 red and black

xl sportster 1957 black and white

xl sportster 1957 picture red and white

xl sportster 1957 adversiting beauty power adventure

xl sportster 1957 adversiting all new sportster 57 hd line

La prima, vera, moto sportiva, in grado di far sognare i giovani smanettoni.


Finalmente nacque la Sportster, la moto tanto aspettata ed in grado di competere con le inglesi.  
La lettera “X” identificava le moto con i motori dotati di valvole in testa ad utilizzo stradale, mentre la lettera “L” si riferiva il primo stage di elaborazione negli hot-rod.

Fin dalla presentazione, la campagna di promozione della Sportster ebbe come destinatari principalmente coloro che desideravano una moto giovane, moderna e dalle alte prestazioni. 
Lo Sportster riprese non solo alcuni elementi stilistici della KH ma anche  diversi altri particolari, come il basamento del motore e la ciclistica. Si continuò ad adottare la cilindrata di 883 già presente sulla KH, con distribuzione ad aste e bilancieri, quattro alberi a cammes nel basamento,  due valvole in testa per ogni cilindro e forma emisferica della camera di scoppio, come sui motori da corsa. 

Della precedente K, la nuova moto utilizzò il basamento del motore, il carter, il cambio, e la trasmissione primaria della stessa.

La cilindrata 883 fu il risultato di un maggiore alesaggio ottenuto con pistoni e valvole più grosse mentre diminuì, invece, la corsa. Questo permise di avere  maggior numero di giri e maggior potenza.
Le teste erano le parti più recenti del motore: inizialmente furono costruite in ferro, ma dopo pochi anni vennero costruite in lega, materiale che permetteva una miglior combustione ed un miglior raffreddamento.  

Quando vide la luce, lo Sportster ebbe come optional la verniciatura bicolore nera e rosso, che in Harley-Davidson chiamavano “Pepper Red”. Il freno anteriore era a tamburo. L'accensione inserita all'interno di un coperchio cromato sul carter destro del motore. Gli scarichi si univano nella parte bassa per dare luogo ad un due-in-uno.

Il telaio era in tubi di acciaio e la parte centrale dello stesso ne aveva uno di maggior diametro. Dall'inizio del cannotto di sterzo, passando per la sella, fino ad arrivare alla parte posteriore, correvano due tubi bassi, più piccoli di diametro, che passavano sotto al motore per poi risalire dietro allo stesso nel tratto che andava ad unirsi al forcellone.
Il secondo paio di tubi scorreva fra il congiungimento posteriore e la zona dove venivano montati gli ammortizzatori.

Le sospensioni erano di tipo convenzionale:  forcella telescopica e due ammortizzatori posteriori. La lubrificazione era di tipo “carter a secco” , con il serbatoio dell'olio collocato dietro al cilindro posteriore, sul lato destro, sotto la sella. Sulla parte sinistra del serbatoio dell'olio vi era l'alloggiamento per la batteria da 6 volts. Lo Sportster era una moto moderna che aveva circa 40 cavalli e con un motore molto più robusto rispetto al vecchio KH.  

La rivista americana Cycle, nel marzo del 1957, parlò di accelerazione terrificante e di una elevata velocità di crociera dovuta ad un motore molto solido. Tuttavia, la stessa rivista fece diverse critiche: le sospensioni erano rigide e l'acceleratore aveva un funzionamento irregolare ai bassi regimi. Inoltre, l'escursione della leva del cambio era notevole. I tester si espressero in maniera non univoca su diversi problemi riscontrati durante le prove. 

Un'altra questione riguardava il peso della moto, che la Harley-Davidson dichiarava fosse di 495lb (oltre 224 kg) ma non specificava se fossero a secco o meno.  
La stessa rivista parlò di un interasse minore rispetto a quello della KH, ma non specificando di quanto. Discorso analogo sulla capacità del serbatoio del carburante che diceva essere intorno ai 4.1gal (quasi 16 litri), mentre la Harley-Davidson affermava si aggirasse attorno ai 4.4gal  (oltre 16 litri).  Sempre la rivista Cycle parlò di una velocità massima di 101,4 mph (quasi 165 km) con una accelerazione sul quarto di miglio pari a 15.03sec.

Nonostante queste critiche, nel primo anno di produzione le vendite della XL furono il doppio rispetto a quelle della KH.
La Sportster era nata sotto una buona stella!


martedì 12 settembre 2017

K Models - 1952

harley davidson k model light blue 1952

harley davidson k model yellow 1952

harley davidson k model picture

harley davidson k model engine picture 1952

elvis on harley davidson k model
Elvis on K model


Se è vero che la storia dello Sportster inizia ufficialmente nel 1957, è altrettanto vero che i modelli K e KH, entrati in produzione qualche anno prima, ne tracciano la strada.



I modelli della serie “K” nacquero dalla necessità di avere una moto sportiva, in grado di contrastare l'avanzata delle moto inglesi nelle competizioni: parliamo di marche come Norton, BSA e Triumph.

Le inglesi erano molto agili e facili da guidare, mentre il motore 750 a valvole laterali che equipaggiava dal 1921 i modelli WL, dotato di bassa compressione ed indicato per le lunghe percorrenze, si era rivelato inadatto per le gare. La K 750 nacque, quindi, dalla precisa esigenza di avere una moto leggera. 

Mantenne il medesimo alesaggio e la corsa del motore precedente (quello montato sui modelli WL), così come le valvole laterali, ma vide alloggiati i quattro alberi a cammes nel basamento (soluzione che mantengono tutt'ora gli Sportster).  Tale soluzione permise di far girare il motore in maniera migliore agli alti regimi, grazie al carico delle valvole diviso su otto supporti invece che su due.

Contrariamente a quanto stava accadendo sui Big Twin, che montavano valvole in testa, si scelse di continuare con le valvole laterali. Il motivo fu da ricercare sia nella maggior complessità di messa a punto dei motori con valvole in testa, che richiedevano maggior manutenzione, sia nel fatto che un 750 con valvole in testa sarebbe costato come un 1000 o un 1200 e non avrebbe potuto partecipare alle gare nella classe C (classe istituita negli anni 40 aperta a 750 con valvole laterali o 500 con valvole in testa).

Inoltre tale scelta fu dettata anche dall'esigenza di non avventurarsi nella realizzazione di un motore non in grado avere la stessa affidabilità e durata delle valvole laterali. 

La Harley-Davidson stava attraversando grandi problemi di affidabilità sui motori Panhead con testa in alluminio, causati dalla lubrificazione  e dalle punterie. 


Uno dei punti di forza della serie K fu l'estrema semplicità costruttiva rispetto ai modelli con cambio separato, nonché l'accesso immediato ad ogni componente per regolazioni, riparazioni e sostituzioni.
Il modello K rappresentò l'unico baluardo americano all'invasione delle moto inglesi, dal momento che la Indian chiuse i battenti nel 1953.

Purtroppo, nonostante il carattere rivoluzionario di alcune soluzioni tecniche adottate (cambio in blocco, il selettore del cambio a pedale, la frizione a mano e gli ammortizzatori posteriori), una volta presentata la moto si rivelò al di sotto delle aspettative. Il motore era “antiquato”  (montava ancora le valvole laterali) e raggiungeva a mala pena i 130 km/h, contro gli oltre 160 km/h delle moto inglesi, con appena 30 cv, in luogo dei quasi 50 delle anglosassoni. 
Inoltre, si presentarono noie meccaniche  che obbligarono la Company ad intervenire con apposite campagne di richiamo.

Dopo due anni dalla presentazione, durante i quali le vendite furono nettamente inferiori rispetto alle previsioni, la Harley Davidson decise di correre ai ripari.
A nulla servirono anche i diversi interventi al modello K per guadagnare cavalli. In un primo tempo venne introdotta la variante più potente del motore denominata KK, ottenuta attraverso la lucidatura dei cilindri e alberi a cammes dal profilo più spinto, ma non fu risolutiva in quanto la moto continuò ad essere poco competitiva con appena 10 km in più di velocità massima.....

Sebbene, successivamente, vennero sviluppate varianti specifiche per le gare del modello K, denominate KR (per le gare da flat-track) e KRTT (per i circuiti veloci), il modello K andò incontro ad un intervento sostanziale.

Nel 1954 venne introdotto sul mercato il modello denominato KH, cui fu aumentata la cilindrata fino ad 883 cc, attraverso una maggiorazione della corsa. Si intervenne, poi, sugli alberi a cammes, sulle camere di combustione e sul diametro delle valvole. Vennero irrobustiti gli ingranaggi del cambio ed il basamento del motore. Si raggiunse la potenza di circa 38 cv ed una velocità di circa  140 km/h. In questo modo si ottenne non solo una maggior potenza, ma anche una maggior coppia e, di conseguenza, una guida più piacevole grazie ad un minor uso del cambio.

La moto venne ulteriormente evoluta verso la fine del 1955 attraverso un modello denominato KHK (dove l'ultima K significava “kit”) con la potenza che saliva a 45 cv ed una velocità prossima ai 150 km/h. Anche in questo caso, per ottenere maggior potenza si intervenne principalmente sugli alberi a cammes ed anche sui condotti, accuratamente lucidati.

Tuttavia le inglesi erano ancora lontane.......