Per il cinquantesimo anniversario dalla nascita della “regina del flat-track”, fiumi di inchiostro ed infinite pagine web hanno catalizzato l'attenzione in ogni parte del mondo in ambito motociclistico.
Qualche tempo addietro raccontai la storia di questa moto, destinata a far parlare di se ancora per molto tempo.
Di articoli sull'XR750 ne ho letti parecchi in questo periodo, ma si deve assolutamente comprare la rivista di Motociclismo D'Epoca di luglio/agosto 2020.
Quaranta pagine (!!!!!!) di storia dedicate unicamente all'XR 750, dense di particolari e foto d'epoca, oltre al racconto di ognuno di questi cinquant'anni.
Se si vuole avere una cultura completa sullo Sportster in genere, non si può prescindere da questo numero di Motociclismo D'Epoca.
Sul finire degli anni novanta entrò in produzione lo Sportster 1200 S con testata a doppia candela e maggiore potenza. Nel frattempo, però, l'importatore italiano Carlo Talamo aveva provveduto a “vitaminizzare” lo Sport 1200 con motore tradizionale. Vediamone i passaggi.....
Iniziamo con il dire che Carlo Talamo, dopo i primi momenti di difficoltà prima con l'importazione Harley-Davidson eppoi con quella Trimuph, ha avuto un forte ascendente sui vertici sia della casa americana che di quella inglese. Diverse sue intuizioni si sono poi tramutate in modelli di serie alcuni dei quali con numeri di vendita notevoli (vedasi su tutte l'Harley-Davidson Night-Train).
Non sappiamo se ciò si sia verificato anche con il modello Sportster 1200S, ma è certo che a Milwaukee compresero la necessità di avere uno Sportster in grado di soddisfare le esigenze degli Harleysti con vocazione sportiva, sebbene proprio in quegli anni (1997) si fossero affacciate sul mercato le Buell. Un dato su tutti può far comprendere la situazione: molti dei clienti iniziali della Numero Uno erano motociclisti con un buon polso destro, trascinati sul bicilindrico americano da Carlo Talamo. Gente che amava darci dentro. Alla Numero Uno iniziarono a progettare kit per diversi modelli che ne miglioravano la prestazioni di ciclistica e motore. Lo Sportster, ovviamente, fu attenzionato in maniera particolare.
Nel 1997 lo Sportster Sport 1200 era il modello di punta per gli sportivi di Milwaukee con un motore (uguale per tutte le versioni da 1200 cc) che sviluppava una cinquantina di cavalli. Ciò che, ovviamente, faceva la differenza era la ciclistica con ammortizzatori e forcella regolabili, cerchi in lega e doppio freno a disco anteriore. Alla Numero Uno svilupparono un kit motore che faceva salire la potenza di circa venti cavalli, facendola arrivare più o meno attorno ai settanta cavalli. Il kit era composto da: scarico due in uno Supertrapp, testate Buell, carburatore e filtro aria Screamin' Eagle da 40mm, diversa centralina elettronica (che faceva salire il regime di rotazione massimo da 6000 a 6.800 giri). La ciclistica non cambiò, ma cambiò radicalmente il prezzo. Se la moto di serie venne venduta a 22 milioni di vecchie Lire, quella kittata arrivò a quasi 28 (!!!!!!!). Per una spesa così importante non poteva non cambiare il carattere dello Sport 1200 che diventò brutale, ad iniziare dalla voce di scarico e dal notevole aumento di vibrazioni oltre i 4000 giri.
Nel 1998 arrivò lo Sportster 1200 S con profonde innovazioni su accensione (testata a doppia candela e quattro bobine esterne), e camera di scoppio (ridisegnata con una differente angolazione tra le valvole ed un maggior rapporto di compressione del motore che passa da 9,0:1 a 10,0:1) la potenza che aumentò di circa cinque cavalli rispetto alla versione con motore a singola candela. Si trattò di un aumento nell'ordine del 10-15% che si tradusse, però, in un notevole incremento della fluidità di erogazione.
I tecnici della Numero Uno intervennero anche su questa versione con un kit (meno impegnativo rispetto a quello concepito per lo Sport 1200) che prevedeva centralina, carburatore Screamin'Eagle da 40mm, relativo filtro dell'aria e scarico due-in-uno Vance & Hines. La potenza, anche in questo caso, salì di quasi venti cavalli.
La differenza tra i due motori era di circa 5/6 cavalli anche tra le versioni kittate.
Sono due versioni, specialmente il 1200S, rare, ancor quelle dotate di kit della Numero Uno che possono raggiungere cifre ragguardevoli grazie anche al notevole “appeal” che trasmettono.
Finalmente arriva l'erede della XR 1200 ma questa volta, al posto di tanta vetroresina e linee moderne, c'è ferro a volontà e l'inconfondibile stile Harley-Davidson.
Una moto attesa, anzi attesissima, da quanti cercavano una Harley-Davidson con velleità sportive. Nulla a che vedere con le moto di moderna impostazione, ma i quasi 70 cv a 6.000 giri e la ciclistica dello Sportster rivisitata sono in grado di far divertire chiunque, anche a fronte di un peso non proprio ridotto (oltre 250 kg).
Della Roadster 1200 è stato ampiamente parlato, avendo anche avuto la fortuna di testarla, scoprendo una moto tanto uguale, ma inaspettatamente diversa, rispetto agli altri modelli della gamma Sportster.
Ciò che, forse, non è stato detto o non sottolineato a dovere, è che ci si aspetta un futuro radioso per questa moto. Diversamente da altri modelli Sportster di indole corsaiola prodotti in passato, questa volta non si sono sperimentate soluzioni nuove, ne scelte strade alternative sia a livello di styling che tecnicamente.
Il rischio era quello di andare incontro ad un altro fallimento. A Milwaukee, quindi, hanno scelto la strada del pragmatismo, lavorando solo su quegli aspetti dello Sportster che andavano cambiati per ottenere una moto dal temperamento sportivo. Molto, poi, è stato fatto anche a livello di marketing e comunicazione anche con la Battle of The Kings che ha contribuito non poco alla conoscenza della Roadster 1200 da parte del grande pubblico.
Diversamente dal passato questa volta non sono stati anticipati i tempi: la Roadster 1200 è stata prodotta quando lo richiedeva il mercato. Anzi, forse con un leggero ritardo.....
Linea filante che ne esalta la vocazione ribelle, abbondanza di cromature, ruota anteriore da 21 pollici. Quando la Seventy-Two (XL 1200 V) arriva sul mercato fa immediatamente sognare gli amanti del “chopper-style”, dato che si ispira alle moto degli anni settanta immortalate in molte pellicole (prima tra tutti Easy Rider).
La base tecnica è la stessa dello Sportster standard, anche se cambiano numerosi dettagli che la rendono quasi un'altra moto. Il cuore è rappresentato dal motore 1200 ad iniezione montato anche su altri modelli, che per questa moto viene abbondantemente riempito di cromature e con un filtro dell'aria tondo, al posto di quello tradizionale ovale, montato su tutti gli Sportster fino a quel momento. E' presente un manubrio tipo mini-apehanger, i comandi avanzati, l'assetto estremamente basso ed il piccolo serbatoio “peanut”. La verniciatura “metal-flake” il vero fiore all'occhiello della Seventy-Two.
All'interno di questo blog, tempo addietro abbiamo pubblicato una Seventy-Two realizzata in stile Easy-Rider con pochi interventi. Segno che ci si trova in presenza di un'ottima base di customizzazione.
Purtroppo, come accaduto in passato per alcuni modelli Sportster, nonostante l'ottima moto ed il notevole successo alla presentazione, il risultato a livello commerciale si è rivelato inferiore alle aspettative. Probabilmente è da imputare al fatto che la moto è stata messa in produzione in un periodo storico in cui i chopper, almeno in Europa, non erano in voga come agli inizi degli anni novanta. La Seventy-Two è rimasta in produzione meno di cinque anni.
Nel 2010 a Milwaukee fecero letteralmente il “quarantotto”, mettendo in produzione il primo bobber su base Sportster.
Dando seguito alle numerose richieste pervenute, anche attraverso l'opera dei customizzatori sparsi nel pianeta, alla Harley-Davidson decisero che era arrivata l'ora del “piccolo” bobber. Una moto facile nell'utilizzo, dalla linea accattivante, in grado di essere utilizzata senza problemi anche dal gentil sesso mettendo, quindi, praticamente d'accordo tutti.
Non appena venne messa in produzione, la Forty Eight, come era logico attendersi, incontrò i favori del pubblico, divenendo una delle Harley-Davidson più vendute. Le principali novità, rispetto agli Sportster sino ad allora costruiti, erano la sella molto bassa da terra (appena 66cm), il panciuto “gommone” anteriore da 130mm su un cerchio da 16 pollici, i comandi avanzati ed il piccolo serbatoio da 8 litri, in luogo di quello tradizionale da 12,5.
Si trattò, in questo senso, di un ritorno al passato, dal momento che fino ai primi anni novanta il “peanut” era una caratteristica dello Sportster (poi sostituito da quello più capiente). Ma il serbatoio piccolo non fu un problema per gli appassionati. La Forty-Eight piacque immediatamente, anche se obbligava a fare rifornimento ogni 90/100 km. Era ed è una moto priva di fronzoli, quasi interamente verniciata di nero, con il baricentro molto basso e facile da guidare. Come su tutte le Harley-Davidson fu da subito possibile personalizzarla a piacimento attraverso il vasto catalogo di parti originali.
Negli anni ha subito aggiornamenti come i cerchi in lega, le diverse grafiche, il filtro dell'aria dalla forma circolare, nuove forcelle, ammortizzatori posteriori regolabili e l'ABS. Oltre, ovviamente, a nuovi colori.
Dopo più di venti anni dalla produzione della 1000 apparve sul mercato un'altra XR, ma questa volta le cose erano cambiate.....
La nuova XR 1200 si presentò subito come una moto sportiva, il cui richiamo alla celebre “sorella” XR 750 era palese non solo per le grafiche, ma anche per diverse soluzioni tecniche. Diversamente dalla 1000, però, era una moto trattabile, per alcuni aspetti anche comoda. Non metteva paura e non spaventava, invitando alla guida sportiva grazie ad sospensioni e freni adeguati ed un motore che, seppur dotato di cavalli, li esprime in maniera estremamente dolce. Le vibrazioni, grazie al montaggio del motore su supporti elastici, quasi assenti.
Il contesto storico in cui nacque la XR 1200 era di rilievo. Principalmente nell'Europa occidentale, si era diffusa a macchia d'olio la moda delle cafe-racer, termine con cui si faceva riferimento a moto con una connotazione sportiva, ma di di ispirazione classica. Qualche casa motociclistica aveva presentato modelli a tema.
Forti del notevole impatto del marchio Buell (di proprietà della Harley-Davidson) e del relativo know-how acquisito anche per quanto riguarda il propulsore, a Milwaukee decisero che era arrivato il momento di produrre una moto in grado di richiamare i fasti sportivi. Così nel 2006 la XR 1200 venne presentata alla stampa. Come detto, il richiamo alla XR 750 da flat-track degli anni settanta era palese solo che, diversamente dalla XL 883 R, anche essa ispirata dalla celebre moto da flat-track, non si era in presenza di una Harley leggermente migliorata in alcuni aspetti e con grafiche racing. Si trattava di una moto nuova, anche se si attingeva a piene mani da Sportster e Buell.
I dati parlavano chiaro: motore potenziato a 90 cv a 7000 giri, ottenuti grazie a nuove teste, alberi a cammes ed aumento del rapporto di compressione a 10:1. Peso di 250 kg, forcella Showa upside-down con steli da 43 mm e doppio freno a disco Nissin, cerchi da 18 pollici all'anteriore e 17 dal posteriore, abbinati a pneumatici Dunlop forniti di serie nelle misure 120/70 all'anteriore e 180/55 al posteriore. Il telaio, rispetto a quello dello Sportster, era stato modificato nella zona del cannotto dello sterzo, che risultava meno inclinato per dare alla XR 1200 più maneggevolezza. La XR 1200 aveva tutte le carte in regola per conquistare una discreta fetta di mercato, giocandosela alla pari con le rivali (Triumph Thruxton in primis).
Purtroppo, a fronte di un notevole interesse iniziale, come in passato era accaduto per alcuni modelli Sportster, anche la XR 1200 non ricevette i consensi aspettati, sebbene in molti paesi fossero stati organizzati dei trofei su pista asfaltata per promuoverne le vendite.
La moto non era assolutamente male, ma una sorta di ibrido e per questo motivo risultava distante dai gusti sia degli harleysti che degli smanettoni. A fronte di scelte tecniche tese a migliorarne la guidabilità, ve ne erano altre che la snaturavano come Harley-Davidson: la carrozzeria era in materiale composito, il filtro dell'aria laterale, caratteristica di tutti gli Sportster, era stato spostato centralmente sotto al serbatoio, le forme del motore arrotondate, la forcella con un aspetto troppo moderno, così come i cerchi. Inoltre il rombo del motore era decisamente educato.
Per gli sportivi, invece, era la classica Harley-Davidson resa appena più facile da far curvare, ma povera di motore, su cui bisognava intervenire pesantemente per ottenere risultati discreti (nel trofeo che si correva in Italia, a parte centralina, scarico e sospensioni, veniva montato un cerchio anteriore da 17 pollici in luogo dell'originale da 18).
In più, sul mercato era già presente la Buell con motore derivato dalla Harley-Davidson Sportster: una vera e propria “fun-bike”.
Nel 2010 venne evoluta attraverso la versione “X”, che aveva sospensioni posteriori regolabili , leggermente più lunghe rispetto alla versione base ed era quasi interamente verniciata in nero opaco.
Il 2012 fu l'ultimo anno di produzione della XR 1200, che riscuoterà i consensi diverso tempo dopo la sua cessata produzione e dalla cui costola, nel 2016, nascerà lo Sportster Roadster 1200, una moto dal tratto sportivo in linea con gli standard Harley-Davidson.
Attualmente il valore dell'usato della XR 1200 è alto, dal momento che è difficilissimo trovare esemplari in vendita al di sotto dei 6000 Euro.
Sulla scia del notevole successo commerciale ottenuto dalla Nightster, nel 2009 venne presenta la 883 Iron. I vertici della Company avevano compreso che era arrivato il momento di lanciare sul mercato un modello interamente nero che fosse, nel contempo, economico. Una sorta di moto di accesso al mondo Harley-Davidson.
La Iron riprenderà e svilupperà le caratteristiche salienti della sorella maggiore Nightster, quali il look essenziale, il baricentro basso e la verniciatura che diventerà total-black. La minor cilindrata, il prezzo di acquisto nettamente inferiore (pari ad 8.800 Euro nel 2009) e la facilità di personalizzazione ne decreteranno il successo immediato.
Nel 2012 la Harley-Davidson Italia ne farà una serie speciale con pochi e mirati accessori, ma la 883 Iron rimarrà pressochè immutata fino al 2016, quando verranno effettuati una serie di interventi con l'obiettivo di migliorarne la guidabilità ed ancor più l'aspetto. Sulla nuova Iron verrà montato l'ABS, le sospensioni regolabili, cerchi in lega di nuova concezione, sella di diversa conformazione e grafiche diverse per il serbatoio.
Questi miglioramenti avvicineranno la Iron più ad una roadster che ad una custom vera e propria. Attualmente il prezzo della 883 Iron in Italia è di 10.400 Euro. Circa 1600 Euro in più rispetto al 2009, ma allineato con quello delle altre moto di pari segmento.
Il primo, timido, approccio al “dark-custom” per i modelli Sportster.
Il 2004 segnò l'anno del cambiamento, almeno per lo Sportster. Venne introdotto il nuovo telaio modificato nella parte posteriore per ospitare un pneumatico di maggior sezione e dotato di supporti elastici sopra i quali alloggiare il motore, in modo da ridurre al minimo le vibrazioni. Queste innovazioni, pur comportando un aumento di peso rispetto al precedente modello nell'ordine di cinquanta chilogrammi, servirono ad allargare la fascia di utenti dello Sportster, non più limitata ai soli “harleysti” duri e puri, ma anche a quanti volessero una moto più fruibile con cui macinare parecchi chilometri, senza essere costretti a soste continue a causa delle numerose vibrazioni.
In un primo tempo le nuove Sportster furono dotate del tradizionale carburatore Kehin a depressione da 40mm che lasciò posto, nel 2006, all'iniezione elettronica, presente attualmente su tutti i modelli.
Per i cinquant'anni dalla nascita dello Sportster, nel lontano 2007, venne prodotta una speciale versione celebrativa, riservata però solamente alla cilindrata 1200.
Ma le novità non finirono qui......
Nella seconda metà dell'anno arrivò sul mercato la Nightster 1200, il primo modello Sportster con cui la Harley-Davidson approcciò il concetto di “dark-custom”.
Look minimalista, verniciatura bicolore, motore e numerose parti verniciate in nero o grigio scuro opaco, oltre ad un parafango posteriore corto con il faro integrato negli indicatori di direzione: queste le principali novità della Nightster, oltre ad un assetto rasoterra che, abbassando notevolmente il baricentro, la resero fruibile da un'ampia fascia di utenti.
La Nightster non solo sarà un successo con abbondanti numeri di vendita, ma rappresenterà una sorta di esperimento effettuato dalla Harley-Davidson che, qualche anno dopo, lancerà sul mercato la 883 Iron, ovvero uno Sportster total-black ancora presente sul mercato.
La moto verrà immediatamente recepita dal mercato rimanendo in produzione fino al 2012. In Italia sarà venduta ad un prezzo di Euro 10.300.
La Nightster ha quotazioni dell'usato maggiori rispetto ad altri modelli, anche se non eccessive.
Se il 2003 è l'anno dei festeggiamenti per la Harley-Davidson per i cento anni di vita, il 2002 è altrettanto importante per la nascita dello Sportster 883R.
Per celebrare il quarantacinquesimo anniversario dello Sportster nel 2002 fu presentata la 883R: un esplicito richiamo alla celebre XR750 da flat-track, pur con contenuti tecnici differenti. Rispetto ai modelli in produzione le modifiche furono quasi tutte a livello estetico, salvo il doppio disco anteriore del freno da 292mm, in luogo del singolo presente su gran parte degli altri Sportster.
La R era caratterizzata da un piglio racing ottenuto attraverso la verniciatura arancio con grafiche del serbatoio identiche alla XR750, il motore verniciato quasi interamente di nero raggrinzito, i cerchi in lega, scarico due-in-uno e la sella profilata in maniera differente, in modo da renderla quasi per una persona sola.
La Harley-Davidson, percependo il possibile successo, commercializzò immediatamente un kit base marchiato Screamin'Eagle studiato appositamente per la 883R (ma che poteva essere montato anche sugli altri modelli), composto da un terminale più aperto e relativo filtro dell'aria racing. La moto con questo kit guadagnava una manciata di cavalli e ne beneficiavano anche sound ed erogazione. Qualcuno optò per un terminale Supertrapp in luogo di quello del kit. Nel tempo la 883R subì modifiche e migliorie legate sostanzialmente alla produzione anche se fu persa la prerogativa dello scarico due-in-uno della prima serie, in luogo dei classici doppi terminali “tapered” tipici della Harley-Davidson. La 883R degli anni 2002 e 2003 è una moto molto ricercata e dal buon valore dell'usato.
Il 2003 rappresentò un anno molto importante per la Harley-Davidson. Non fu solo la ricorrenza dei cento anni di vita della Company, ma anche l'ultimo anno di produzione per lo Sportster del “vecchio corso”.
Dal 2004 furono introdotte importantissime novità su tutta la gamma Sportster riguardanti principalmente il nuovo telaio con silent-block per il motore in modo da favorire le lunghe percorrenze, e modifiche nella parte posteriore affinchè ospitasse un pneumatico di maggior diametro, fondamentale per garantire una maggior tenuta di strada. Questi interventi furono effettuati nell'ottica anche di non rinunciare alla tradizionale trasmissione finale a cinghia dentata, sebbene tutto questo abbia comportato un aumento del peso di circa cinquanta chilogrammi rispetto al modello precedente.
Gli harleysti di lungo corso, come di consueto nel caso di innovazioni importanti, non accolsero bene queste modifiche, ma il nuovo Sportster troverà positivi riscontri sul mercato e dal 2008 beneficerà dell'iniezione elettronica su tutti i modelli, indispensabile anche per rispettare le severe normative europee in tema di emissioni inquinanti.
Tutti gli Sportster del centenario (così come le altre Harley-Davidson del 2003) si contraddistinguono per grafica dedicata, facilmente riconoscibile.
Alla Harley-Davidson capiscono che lo Sportster 1200 può incontrare i favori del pubblico europeo.
Qualche anno dopo l'introduzione del motore Evolution sulla gamma Sportster, iniziarono i primi miglioramenti con l'adozione, nel 1991, del cambio a cinque rapporti e della trasmissione finale a cinghia dentata, ancora oggi presenti sugli Sportster in produzione. Inizialmente le cilindrate furono 883 e 1100, ma poi si passò a 1200.
Verso la metà degli anni novanta i vertici di Milwaukee decisero di intervenire sullo Sportster 1200 attraverso alcune modifiche rispondenti alle esigenze del pubblico europeo, che cercava nella cilindrata 1200 una moto non solo più performante rispetto allo Sportster 883, ma anche un tantino meno basica.
Vennero effettuati una serie di miglioramenti come l'introduzione del serbatoio da 12,3 litri al posto di quello da 8,5 litri, l'adozione di contachilometri digitale e tachimetro con la lancetta ma senza cavo. La chiave d'accensione venne spostata sul lato destro davanti al serbatoio. La scatola filtro rivista ed abbinata a scarichi più silenziati per contenere la rumorosità entro gli 80 db imposti dalle norme europee. Inoltre si lavorò sull'erogazione del motore per avere un'ottima facilità di utilizzo e progressione incredibile tra i 2500 ed i 4000 giri.
Sull'argomento non si hanno notizie certe, ma è probabile che alla decisione della Harley-Davidson abbia contribuito non poco anche la situazione del mercato italiano, le varie iniziative promosse dalla Numero Uno (la allora società importatrice per l'Italia del marchio Harley-Davidson) unitamente ai suggerimenti di Carlo Talamo, che iniziò ad essere ascoltato dai vertici di Milwaukee.
Carlo Talamo comprese fin da subito che lo Sportster, all'interno del panorama Harley-Davidson, poteva vivere di vita propria. A parte idonee campagne di comunicazione, avviò il Trofeo Short-Track, che si disputava su ovali in terra battuta con Sportster 883, opportunamente modificati per esaltarne le prestazioni, e creò sia una versione stradale della 883 che correva, oltre ad un'altra decina di esemplari di Sportster con il logo "Number One".
Nel 1998 apparve sul mercato lo Sportster 1200 S, dotato di motore ad alte prestazioni, con testata a doppia candela, in grado di erogare oltre 70 cv e supportato da una ciclistica adeguata.
La rivista italiana Motociclismo, già provando la versione dotata di testata a singola candela, si espresse più che positivi: “....il concetto ispiratore è più vicino a quello delle moto europee, anche se si tratta di una filosofia americana al 100%.....c'è un notevole gusto che piacerà anche a chi non è harleysta.......bella moto, ben temperata, come il clavicembalo di Bach. A chi non è permeato dalla mistica biker, sembra una moto stradale di media cilindrata di qualche anno fa, con pochi cv, ma ben distribuiti.”
Purtroppo lo Sportster 1200 S rimase in produzione pochi anni. Oggi è diventato un vero e proprio oggetto di culto, con un valore altissimo dell'usato.
Gli anni ottanta rappresentarono un periodo molto importante per la Harley-Davidson. Dopo l'acquisizione dalla AMF da parte di un discendente dei fondatori, tale Willie G. Davidson, unitamente ad una cordata di dirigenti della azienda, si cercò di dare nuovi impulsi alla Company attraverso un rinnovo della gamma ed un allargamento della rete di vendita.
Nel 1984 prese vita il progetto Evolution, dapprima introdotto progressivamente sui Big Twin da 1340 cc e nel 1986 sugli Sportster, con le cilindrate 883 e 1100. A Milwaukee credettero talmente tanto in questa nuova unità da improntare aggressive campagne promozionali: la nuova moto non solo venne venduta al prezzo di quella precedente ma, nel 1987, si propose ai clienti una permuta a “costo zero”, che permetteva entro due anni di cambiare una Harley di maggiore cilindrata con lo Sportster, tramite una supervalutazione dell'usato pari all'intero costo iniziale.
La doppia cilindrata per gli Sportster fu pensata per una serie di motivi. Da una parte, a livello di marketing, la cilindrata 883 richiamava i primi modelli ma, dall'altra, rispetto ai 1000 cc che avevano equipaggiato gli Sportster negli ultimi anni, vi era una notevole perdita di potenza e coppia. Se la scelta degli 883 cc fu fortunata, non altrettanto lo fu quella dei 1100 cc. Questo motore rimase in listino solo un paio di anni e, nel 1988, venne sostituito definitivamente dal 1200. I motore 883 e 1200 equipaggiano tutt'ora i modelli Sportster in produzione.
Il nuovo motore Sportster, salvo per il fatto che era interamente in alluminio, mantenne intatte le caratteristiche costruttive del vecchio Ironhead: quattro alberi a cammes nel basamento, distribuzione ad aste e bilancieri con testata a due valvole, singolo carburatore da 40mm posto in mezzo ai cilindri, motore a “corsa lunga”, cioè con la corsa maggiore dell'alesaggio, raffreddamento ad aria, lubrificazione carter a secco con serbatoio dell'olio separato e situato sotto alla sella sul lato destro.
Fino al 1991 il cambio fu a quattro rapporti e la trasmissione finale a catena. Dopo vennero introdotti i cinque rapporti e la trasmissione finale a cinghia dentata, entrambi ancora oggi presenti sui modelli in produzione.
Le cilindrate 883 e 1100 differivano principalmente, oltre che per la potenza che andava dai 46 ai 63 cv, anche per un differente rapporto alesaggio/corsa. Per la cilindrata 883 le misure erano 76,3x97, mentre sulla 1100 era stato aumentato solo l'alesaggio, arrivato ad 85mm con la corsa rimasta invariata. Quando la cilindrata salì a 1200, venne aumentato ulteriormente solo l'alesaggio, arrivando ad 87mm.
Nel corso degli anni queste misure hanno subito piccolissime variazioni, per assestarsi su 76,2x96,8 per la cilindrata 883 e 88,9x96,8 per la cilindrata 1200.
Indole da flat-track per lo Sportster costruito dopo il periodo di transizione della AMF.
Agli inizi degli anni '80 la Harley-Davidson è ancora una volta in piena crisi economica dovuta alla pessima gestione da parte della AMF che, fino ad allora, aveva detenuto la maggioranza delle azioni della Company.
Scarsa evoluzione della gamma, tempi di azione molto lenti e modelli poco riusciti come la XLCR 1000, avevano portato la Harley-Davidson sull'orlo del baratro.
Ancora una volta emerse la personalità di Willie G. Davidson in grado di riuscire ad organizzare una cordata di dirigenti che nel 1981 rilevò il marchio. Sebbene il discendente diretto della celebre dinastia fosse diventato proprietario, i problemi continuarono a rimanere, specialmente per la gamma Sportster.
Iniziarono i primi interventi. Dapprima, nel 1982, vennero apportate innovazioni al telaio dell'intera gamma Sportster, che divenne più leggero, ma anche più rigido, che equipaggerà l'intera gamma Sportster fino al 2003.
Successivamente fu avviato il progetto XR 1000.
In quello stesso periodo un giovane ingegnere di nome Erik Buell si preparò a lasciare la Company per costruire moto con il proprio marchio. Non a caso per una delle sue moto più famose, ovvero la Buell RR 1000, utilizzerà il motore della XR 1000.
La XR 1000 fu uno Sportster stradale derivato dallo short-track, con specifiche soluzioni tecniche: gruppo termico con testate in alluminio (lavorate dal californiano Jerry Branch), doppio carburatore Dell'Orto dal 36mm con pompa di ripresa, invece dei Mikuni utilizzati sulle XR da competizione, due scarichi singoli che, come sulla XR 750, uscivano alti, sul lato sinistro della moto. La potenza salì a 70 cv: dieci in più della versione standard. Con il kit racing, composto da pistoni ad alta compressione, cammes high performance e scarichi racing, si arrivò fino a 90 cv. Rispetto alla XR 750, la cilindrata salì fino a 1000 grazie all'aumento di alesaggio e corsa che erano 81x96.
Se le novità riguardarono il motore, la ciclistica rimase praticamente quella standard che adottavano gli altri Sportster: nuovo telaio introdotto nel 1982, cerchi da 19 e 16 pollici, doppio ammortizzatore posteriore e doppio disco freno all'anteriore da 292 mm, con pinze ad un pistoncino.
La XR 1000 si rivelò subito una molto potente e veloce ma altrettanto scorbutica. Rispetto al modello base aveva maggior potenza, velocità e accelerazione, ma un comfort nettamente inferiore a causa anche del grande rumore e delle notevoli vibrazioni sviluppate dal nuovo motore.
Inoltre la XR 1000 fu una moto praticamente artigianale, con costi di produzione
elevati e nettamente superiori alla XLX, il modello più a buon mercato in quel periodo.
Questo insieme di situazioni probabilmente decretò l'insuccesso commerciale della nuova moto che, comunque, venne prodotta in quasi 1800 esemplari, restando in listino fino al 1984. Di lì a poco, la Harley-Davidson avrebbe iniziato a produrre il motore Evolution interamente in alluminio, dapprima montato sui Big Twin eppoi, dal 1986 fino ad oggi, sull'intera gamma Sportster.
Per la XR 1000 si verificata la stessa situazione che ha riguardato la XLCR 1000: a fronte di un insuccesso commerciale dell'epoca, la moto si è poi rivelata vero e proprio oggetto di culto, anche se con meno estimatori rispetto alla XLCR.
Oggi trovarne qualche esemplare in ottimo stato è assai difficile.
La prima cafe racer, ideata e progettata da Willie G.Davidson.
Verso la metà degli anni '70 la Harley-Davidson continuava ad essere minacciata dall'industria nipponica che produceva moto più performanti, meno costose e più affidabili.
Si trattava di una situazione il cui perdurare da diverso tempo ed aveva portato la Company a cedere alla AMF (American Machine e Foundry Company), nel 1969 per 21 milioni di dollari, la maggioranza delle azioni.
Ciò avvenne a seguito delle ingenti perdite economiche dovute al tentativo della Harley-Davidson di combattere l'avanzare della produzione nipponica nelle moto di piccola cilindrata. Nel 1961 la Harley-Davidson, infatti, aveva acquisito il marchio italiano Aermacchi. Questa operazione si era rivelata totalmente sbagliata portando, negli anni precedenti l'acquisizione da parte della AMF, la Company verso una crisi finanziaria senza precedenti, che costrinse i vertici della Harley-Davidson a cedere la maggioranza delle quote societarie al fine di avere iniezioni di capitali.
La premessa storica aiuta a comprendere le dinamiche dietro alla nascita della XLCR 1000, avvenuta nel 1977: doveva essere l'arma del riscatto contro l'avanzata nipponica!!!
Il progetto fu commissionato a Willie G. Davidson che, già dal 1975, accarezzava l'idea di avere una Harley-Davidson sportiva, con tanto di cupolino e per la cui linea si ispirò alla Norton Commando. A livello tecnico per la XLCR (la sigla CR sta per Cafè Racer) venne utilizzato il motore della XLCH montato sul telaio a doppia culla della XR 750 (che a partire dal 1979 fu adottato anche per gli alti modelli Sportster), con il retrotreno triangolato e gli ammortizzatori posizionati in fondo al forcellone scatolato. Inclinazione del cannotto di sterzo pari a 29,35 gradi. Forcella telescopica da 35mm e due dischi freno da 254 mm. Posteriormente il freno a disco sostituì quello a tamburo degli Sportster di base. Ruote a sette razze in lega leggera da 19 e 18 pollici. Carburatore Kehin da 38mm con valvola a farfalla e pompa di ripresa. Peso di 235 kg su strada. Rapporto di compressione 9:1, alesaggio x corsa 81x96,8.
I cavalli furono 65 a 6200 giri/m con una velocità massima di 195 km/h.
Questi i numeri della nuova moto sportiva “made in Milwaukee”.
Purtroppo, sebbene la ciclistica fosse più evoluta rispetto agli altri Sportster di serie il motore, tuttavia, risultò quasi subito sorpassato rispetto ai più moderni quattro cilindri giapponesi e ciò penalizzò non poco la XLCR in termini di prestazioni nei confronti delle moto nipponiche.
Oltretutto alla XLCR venne imputato un aspetto troppo avveniristico che non trovò in quegli anni i favori del pubblico, abituato alle tradizionali linee della casa di Milwaukee, nonostante la moto fosse ben costruita e rifinita. Di pregevole fattura, infatti, erano le lavorazioni in vetroresina che riguardavano parafanghi, serbatoio e cupolino.
La campagna pubblicitaria venne naturalmente improntata sull'estetica aggressiva, sulle qualità sportive della XLCR e sul prestigio del suo ideatore, ma la moto si rivelò lontana anni luce dalla filosofia aziendale, oltre ad essere troppo scomoda da guidare rispetto alle altre Harley-Davidson.
Molti esemplari rimarranno invenduti presso i concessionari. Solo diversi anni dopo diventerà ricercata dai collezionisti e troverà moltissimi estimatori anche tra i customizer, che ne riprenderanno le linee. La moto verrà prodotta per soli due anni, fino al 1979 e ne verranno vendute poco più di 3100.
Nonostante il fallimento del progetto durante tutto il periodo della sua produzione, a Willie G. verrà riconosciuto il merito di aver impresso alla HD una nuova idea in un periodo storico di grave crisi, sia finanziaria che progettuale che lo porterà, entro pochi anni, a rilevare la Harley-Davidson dalla AMF insieme ad altri soci.
Attualmente le quotazioni della XLCR 1000 vanno da 15.000 a quasi 20.000 Euro.