Harley-Davidson Sporster: la storia, le special e la pubblicità. Una sezione dedicata alle Buell motorizzate Harley-Davidson.

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mercoledì 8 novembre 2017

Lo Sportster ad Eicma 2017

sportster pubblicità eicma 2017

“Ti basta l'essenziale per spingerti oltre”.


Un semplice invito rivolto da Harley-Davidson Italia a tutti gli appassionati: accorrete a vedere gli Sportster!!!!! 

Dal 9 al 12 novembre, padiglione 24, stand p.54.

Un messaggio non di poco conto, considerando che da poco a Milwaukee hanno fatto una vera e propria rivoluzione presentando i nuovi modelli della gamma Softail 2018.

Segno che lo Sportster è ancora un punto cardine nella produzione Harley-Davidson.  Non è solamente il modello che permette l'accesso al mondo Harley, ma una moto con una connotazione ben precisa, che nel tempo ha trovato una ampia cerchia di estimatori. 

La stessa filiale italiana, infatti, lo sottolinea successivamente: “Sportster: una parola che da 60 anni è sinonimo di stile inconfondibile, carattere da vendere, sogni ad occhi aperti. Ora tocca a te passare dalla parola ai fatti. 

In Italia nei primi anni novanta, quando il fenomeno Harley-Davidson era agli albori, lo Sportster rappresentava spesso la moto di transizione verso i Big Twin. La si comprava per il prezzo non troppo alto e per capire come fossero le moto americane. Poi, dopo qualche anno, si passava ai modelli più grossi. Un certo Carlo Talamo, però, comprese immediatamente lo Sportster avrebbe potuto vivere di vita propria, intraprendo una serie di iniziative. E ci aveva visto giusto!!!!
Tornando ai giorni odierni: perchè comprare lo Sportster ????
Tralascio gli aspetti di contorno legati al marchio Harley, focalizzandomi sulla moto stessa. 

Lo Sportster è una moto robustissima che richiede pochissima manutenzione, offerta ad un prezzo onesto (10.300 Euro per la 883 Iron, cioè il modello di accesso, sono in linea con le altre moto di pari cilindrata presenti sul mercato....), con una facilità di ricambi incredibile, sulla quale si può giocare a piacimento con customizzazioni di tutti i tipi e dalla linea sempre attuale

E' sufficiente come risposta ???? Se lo è andatela a vedere, ma se avete ancora qualche dubbio provatela presso qualche concessionario!!!!! 



martedì 7 novembre 2017

Sportster Evolution - 1986

sportster evolution first model 1986

sportster evolution first model 1986

sportster evolution engine 1986

sportster evolution adversiting 1986

Arriva il nuovo motore interamente in alluminio!


Gli anni ottanta rappresentarono un periodo molto importante per la Harley-Davidson. Dopo l'acquisizione dalla AMF da parte di un discendente dei fondatori, tale Willie G. Davidson, unitamente ad una cordata di dirigenti della azienda, si cercò di dare nuovi impulsi alla Company attraverso un rinnovo della gamma ed un allargamento della rete di vendita. 

Nel 1984 prese vita il progetto Evolution, dapprima introdotto progressivamente sui Big Twin da 1340 cc e nel 1986 sugli Sportster, con le cilindrate 883 e 1100. A Milwaukee credettero talmente tanto in questa nuova unità da improntare aggressive campagne promozionali: la nuova moto non solo venne venduta al prezzo di quella precedente ma, nel 1987, si propose ai clienti una permuta a “costo zero”, che permetteva entro due anni di cambiare una Harley di maggiore cilindrata con lo Sportster, tramite una supervalutazione dell'usato pari all'intero costo iniziale

La doppia cilindrata per gli Sportster fu pensata per una serie di motivi. Da una parte, a livello di marketing, la cilindrata 883 richiamava i primi modelli ma, dall'altra, rispetto ai 1000 cc che avevano equipaggiato gli Sportster negli ultimi anni, vi era una notevole perdita di potenza e coppia.  Se la scelta degli 883 cc fu fortunata, non altrettanto lo fu quella dei 1100 cc. Questo motore rimase in listino solo un paio di anni e, nel 1988, venne sostituito definitivamente dal 1200. I motore 883 e 1200 equipaggiano tutt'ora i modelli Sportster in produzione.

Il nuovo motore Sportster, salvo per il fatto che era interamente in alluminio, mantenne intatte le caratteristiche costruttive del vecchio Ironhead: quattro alberi a cammes nel basamento, distribuzione ad aste e bilancieri con testata a due valvole, singolo carburatore da 40mm posto in mezzo ai cilindri, motore a “corsa lunga”, cioè con la corsa maggiore dell'alesaggio, raffreddamento ad aria, lubrificazione carter a secco con serbatoio dell'olio separato e situato sotto alla sella sul lato destro. 

Fino al 1991 il cambio fu a quattro rapporti e la trasmissione finale a catena. Dopo vennero introdotti i cinque rapporti e la trasmissione finale a cinghia dentata, entrambi ancora oggi presenti sui modelli in produzione.

Le cilindrate 883 e 1100 differivano principalmente, oltre che per la potenza che andava dai 46 ai 63 cv, anche per un differente rapporto alesaggio/corsa.  Per la cilindrata 883 le misure erano 76,3x97, mentre sulla 1100 era stato aumentato solo l'alesaggio, arrivato ad 85mm con la corsa rimasta invariata. Quando la cilindrata salì a 1200, venne aumentato ulteriormente solo l'alesaggio, arrivando ad 87mm. 

Nel corso degli anni queste misure hanno subito piccolissime variazioni, per assestarsi su 76,2x96,8 per la cilindrata 883 e 88,9x96,8 per la cilindrata 1200.


martedì 31 ottobre 2017

XR 1000 - 1983

harley davidson xr 1000 1983 side right

harley davidson xr 1000 1983 side left

harley davidson xr 1000 1983 engine

harley davidson xr 1000 1983  engine and dual exhausts

buell rr 1000  my 1986
Buell RR 1000 - 1986

Indole da flat-track per lo Sportster costruito dopo il periodo di transizione della AMF.



Agli inizi degli anni '80 la Harley-Davidson è ancora una volta in piena crisi economica dovuta alla pessima gestione da parte della AMF che, fino ad allora, aveva detenuto la maggioranza delle azioni della Company. 
Scarsa evoluzione della gamma, tempi di azione molto lenti e modelli poco riusciti come la XLCR 1000, avevano portato la Harley-Davidson sull'orlo del baratro.  
Ancora una volta emerse la personalità di Willie G. Davidson in grado di riuscire ad organizzare una cordata di dirigenti che nel 1981 rilevò il marchio. Sebbene il discendente diretto della celebre dinastia fosse diventato proprietario, i problemi continuarono a rimanere, specialmente per la gamma Sportster. 

Iniziarono i primi interventi. Dapprima, nel 1982, vennero apportate innovazioni al telaio dell'intera gamma Sportster, che divenne più leggero, ma anche più rigido, che equipaggerà l'intera gamma Sportster fino al 2003. 
Successivamente fu avviato il progetto XR 1000. 
In quello stesso periodo un giovane ingegnere di nome Erik Buell si preparò a lasciare la Company per costruire moto con il proprio marchio. Non a caso per una delle sue moto più famose, ovvero la Buell RR 1000, utilizzerà il motore della XR 1000.

La XR 1000 fu uno Sportster stradale derivato dallo short-track, con specifiche soluzioni tecniche: gruppo termico con testate in alluminio (lavorate dal californiano Jerry Branch),  doppio carburatore Dell'Orto dal 36mm con pompa di ripresa, invece dei Mikuni utilizzati sulle XR da competizione, due scarichi singoli che, come sulla XR 750, uscivano alti, sul lato sinistro della moto. La potenza salì a 70 cv: dieci in più della versione standard. Con il kit racing, composto da pistoni ad alta compressione, cammes high performance e scarichi racing, si arrivò fino a 90 cv. Rispetto alla XR 750, la cilindrata salì fino a 1000 grazie all'aumento di alesaggio e corsa che erano 81x96. 
Se le novità riguardarono il motore, la ciclistica rimase praticamente quella standard che adottavano gli altri Sportster: nuovo telaio introdotto nel 1982, cerchi da 19 e 16 pollici, doppio ammortizzatore posteriore e doppio disco freno all'anteriore da 292 mm, con pinze ad un pistoncino.

La XR 1000 si rivelò subito una molto potente e veloce ma altrettanto scorbutica. Rispetto al modello base aveva maggior potenza, velocità e accelerazione, ma un comfort nettamente inferiore a causa anche del grande rumore e delle notevoli vibrazioni sviluppate dal nuovo motore. 
Inoltre la XR 1000 fu una moto praticamente artigianale, con costi di produzione
elevati e nettamente superiori alla XLX, il modello più a buon mercato in quel periodo

Questo insieme di situazioni probabilmente decretò l'insuccesso commerciale della nuova moto che, comunque, venne prodotta in quasi 1800 esemplari, restando in listino fino al 1984. Di lì a poco, la Harley-Davidson avrebbe iniziato a produrre il motore Evolution interamente in alluminio, dapprima montato sui Big Twin eppoi, dal 1986 fino ad oggi, sull'intera gamma Sportster.
Per la XR 1000 si  verificata la stessa situazione che ha riguardato la XLCR 1000: a fronte di un insuccesso commerciale dell'epoca, la moto si è poi rivelata vero e proprio oggetto di culto, anche se con meno estimatori rispetto alla XLCR.

Oggi trovarne qualche esemplare in ottimo stato è assai difficile.




giovedì 26 ottobre 2017

XLCR 1000 "Old Life"

xlcr 1000 my 1977 side right

xlcr 1000 my 1977 side left

xlcr 1000 my 1977 tank

Un esemplare del 1977 consegnato all'eternità.


Poco più di 3000 esemplari prodotti in due anni, molti dei quali rimasti invenduti nelle concessionarie. Tanto è bastato per decretare la fine della XLCR 1000

Un modello troppo avveniristico per i dettami dell'epoca, che non rispose alle esigenze degli harleysti e non fu compreso dagli altri motociclisti, i quali continuarono a comprare le ben più evolute ed affidabili giapponesi.

Dopo diverso tempo la XLCR 1000 divenne uno dei modelli cult della produzione Harley-Davidson, ricercata anche tra i non appassionati del marchio americano.
A distanza di quasi quarant'anni dalla cessata produzione vi sono diverse XLCR 1000 in circolazione, il cui valore dell'usato ha raggiunto livelli molto alti. Alcune sono ben conservate, altre hanno avuto bisogno di un restauro.
La moto sopra ha subito piccoli interventi ed alcune parti sono differenti rispetto alle originali.

Il motore è rimasto quasi originale, seppur verniciato totalmente in nero, e con l'aggiunta di un carburatore S&S dotato di relativo filtro, al posto del Kehin di serie. I collettori di scarico sono stati lucidati: quelli originali erano neri. Sono stati cambiati i terminali di scarico e gli ammortizzatori di serie.

A parte questi ritocchi ed una generale messa a punto, sulla XLCR non è stato effettuato alcun intervento, nonostante la moto abbia all'attivo oltre 40.000 km.

Uno dei problemi da affrontare quando si compra una XLCR 1000 è la reperibilità dei ricambi originali. Più si mantiene la XLCR originale e più aumenta il suo valore. Un suggerimento è di vedere il sito  XLCR Club, dedicato specificamente a questa moto e dove si può trovare molto.  


martedì 24 ottobre 2017

XLCR 1000 - 1977

xlcr 1000 1977 side right

xlcr 1000 1977 side left

xlcr 1000 1977 cockpit

xlcr 1000 1977 adversiting

xlcr 1000 - 1977 - adversiting

xlcr 1000 1977 adversiting from willie g davidson

La prima cafe racer, ideata e progettata da Willie G.Davidson.


Verso la metà degli anni '70 la Harley-Davidson continuava ad essere minacciata dall'industria nipponica che produceva moto più performanti, meno costose e più affidabili. 

Si trattava di una situazione il cui perdurare da diverso tempo ed aveva portato la Company a cedere alla AMF (American Machine e Foundry Company), nel 1969 per 21 milioni di dollari, la maggioranza delle azioni

Ciò avvenne a seguito delle ingenti perdite economiche dovute al tentativo della Harley-Davidson di combattere l'avanzare della produzione nipponica nelle moto di piccola cilindrata. Nel 1961 la Harley-Davidson, infatti, aveva acquisito il marchio italiano Aermacchi. Questa operazione si era rivelata totalmente sbagliata portando, negli anni precedenti l'acquisizione da parte della AMF,  la Company verso una crisi finanziaria senza precedenti, che costrinse i vertici della Harley-Davidson a cedere la maggioranza delle quote societarie al fine di avere iniezioni di capitali.

La premessa storica aiuta a comprendere le dinamiche dietro alla nascita della XLCR 1000, avvenuta nel 1977: doveva essere l'arma del riscatto contro l'avanzata nipponica!!! 

Il progetto fu commissionato a Willie G. Davidson che, già dal 1975, accarezzava l'idea di avere una Harley-Davidson sportiva, con tanto di cupolino e per la cui linea si ispirò alla Norton Commando. A livello tecnico per la XLCR (la sigla CR sta per Cafè Racer) venne utilizzato il motore della XLCH montato sul telaio a doppia culla della XR 750 (che a partire dal 1979 fu adottato anche per gli alti modelli Sportster), con il retrotreno triangolato e gli ammortizzatori posizionati in fondo al forcellone scatolato. Inclinazione del cannotto di sterzo pari a 29,35 gradi. Forcella telescopica  da 35mm e due dischi freno da 254 mm. Posteriormente il freno a disco sostituì quello a tamburo degli Sportster di base. Ruote a sette razze in lega leggera da 19 e 18 pollici. Carburatore Kehin da 38mm con valvola a farfalla e pompa di ripresa. Peso di 235 kg su strada. Rapporto di compressione 9:1, alesaggio x corsa 81x96,8. 
I cavalli furono 65 a 6200 giri/m con una velocità massima di 195 km/h
Questi i numeri della nuova moto sportiva “made in Milwaukee”.

Purtroppo, sebbene la ciclistica fosse più evoluta rispetto agli altri Sportster di serie il motore, tuttavia, risultò quasi subito sorpassato rispetto ai più moderni quattro cilindri giapponesi e ciò penalizzò non poco la XLCR in termini di prestazioni nei confronti delle moto nipponiche

Oltretutto alla XLCR venne imputato un aspetto troppo avveniristico che non trovò in quegli anni i favori del pubblico, abituato alle tradizionali linee della casa di Milwaukee, nonostante la moto fosse ben costruita e rifinita.  Di pregevole fattura, infatti, erano le lavorazioni in vetroresina che riguardavano parafanghi, serbatoio e cupolino. 

La campagna pubblicitaria venne naturalmente improntata sull'estetica aggressiva, sulle qualità sportive della XLCR e sul prestigio del suo ideatore, ma la moto si rivelò lontana anni luce dalla filosofia aziendale, oltre ad essere troppo scomoda da guidare rispetto alle altre Harley-Davidson. 
Molti esemplari rimarranno invenduti presso i concessionari. Solo diversi anni dopo diventerà ricercata dai collezionisti e troverà moltissimi estimatori anche tra i customizer, che ne riprenderanno le linee. La moto verrà prodotta per soli due anni, fino al 1979 e ne verranno vendute poco più di 3100. 

Nonostante il fallimento del progetto durante tutto il periodo della sua produzione, a Willie G. verrà riconosciuto il merito di aver impresso alla HD una nuova idea in un periodo storico di grave crisi, sia finanziaria che progettuale che lo porterà, entro pochi anni, a rilevare la Harley-Davidson dalla AMF insieme ad altri soci.

Attualmente le quotazioni della XLCR 1000 vanno da 15.000 a quasi 20.000 Euro.




giovedì 19 ottobre 2017

XR 750 "Mert Lawwill" - 1972

xr 750 mert lawwill 1972 side right

xr 750 mert lawwill 1972 side left

xr 750 mert lawwill 1972 engine

xr 750 mert lawwill 1972 front end

xr 750 mert lawwill 1972 front end

Una XR 750 molto particolare, in quanto monta un telaio che si ritiene fosse quello del celebre campione di flat-track degli anni '70, celebrato nel film di Steve McQueen “On any Sunday”.


Da poco abbiamo raccontato la storia della XR 750: un modello creato dalla Harley-Davidson appositamente per le corse.  Dopo la prima versione del 1970 con motore in ghisa e carburatore singolo, ne venne creata nel 1972 un'altra (quella di maggior diffusione) dotata di motore in alluminio e doppio carburatore sul lato destro, soprannominata “Alloy XR”.

La XR 750 che presentiamo è una di quelle con motore in alluminio, sulla quale il restauro è stato ridotto al minimo, dato che la moto era in ottime condizioni. Gli interventi hanno riguardato principalmente le sovrastrutture, usando decals e vernici originali.

Per il resto, a parte il telaio in tubi del celebre campione, non vi sono interventi di rilievo, dato che monta forcella Ceriani e doppio carburatore Mikuni. Forse l'unica difformità rispetto alla moto dell'epoca è nella scelta di utilizzare un doppio scarico alto Supertrapp.

Non si conosce il prezzo di questa XR 750, ma è ragionevole presumere che sia molto alto. Azzardiamo una cifra: superiore ai 50.000 Euro.    


martedì 17 ottobre 2017

XR 750 - 1970

harley davidson xr 750 first model 1970
XR 750 first model

harley davidson xr 750 alloy xr side right
XR 750 - Alloy XR

harley davidson xr 750 alloy xr side left

harley davidson xr 750 alloy xr picture

harley davidson xrtt 750 side right
XRTT 750

harley davidson xrtt 750 side left

Progettata per correre e vincere!


La XLR era stata un'ottima moto e si era ben difesa nelle competizioni a cui aveva partecipato tuttavia, dopo circa sette anni che era in produzione, a Milwaukee capirono che ci voleva una vera e propria moto da corsa in grado di sbaragliare la concorrenza. Lo spunto venne dato da una novità nel regolamento tecnico dell'AMA, quando fu abolito il limite di 500 cc nelle gare per i motori con valvole in testa. 

La XR 750 venne realizzata in soli quattro mesi ed apparve immediatamente sui circuiti. Fu una moto studiata e pensata appositamente per le gare, ricavata da un modello di serie: motore XLR elaborato inserito in un telaio KR del 1967. Il nome non fu scelto a caso. La X identificava il modello Sportster, mentre la R le versioni racing. 
Contrariamente alla tendenza americana, su questa moto vennero cercati più cavalli riducendo la cilindrata del motore, che passò da 883 a 750, sebbene il motore stesso rimase sostanzialmente quello dello Sportster

Infatti, rispetto al modello XL di serie, non fu cambiata nemmeno la disposizione degli organi interni al motore: albero della trasmissione davanti, cambio a quattro marce dietro, primaria e frizione alloggiati a sinistra, lubrificazione a carter a secco con pompa dell'olio sulla destra.
Il telaio, derivato dalla KR, era in tubi “highboy” di  acciaio al cromo-molibdeno da un pollice (2,54 cm) di diametro, con forcellone da un pollice e mezzo su cui lavoravano due ammortizzatori Girling.  All'avantreno una forcella teleidraulica Ceriani.

Nel corso degli anni la XR 750 subì costanti aggiornamenti.  Nella prima versione il motore fu in ghisa e montò un carburatore singolo di marca Tillotson, ma ben presto si dovette intervenire. Sebbene il motore a corsa corta fosse la configurazione ottimale nella ricerca delle prestazioni,  sorsero comunque problemi di affidabilità dovuti sia al surriscaldamento dei cilindri a causa di una ridotta alettatura di raffreddamento degli stessi, sia all'albero motore. Inoltre la moto  si rivelò ben presto molto più lenta della vecchia KR 750 a valvole laterali.  Alcuni corridori tentarono di risolvere il problema montando fino a quattro radiatori dell'olio, ma furono tentativi vani. L'esordio alla 200 miglia nel 1971 fu terrificante e quasi tutte le XR si ritirarono. A Milwaukee corsero ai ripari incaricando Dick O'Brien di intervenire sui motori rendendoli più affidabili ma anche più potenti (inizialmente sviluppavano 62 cv a 6200 giri). 

Nel 1972 il nuovo motore vide la luce.
La novità più importante fu l'ampio utilizzo della lega di alluminio che sostituì quasi integralmente la ghisa (di qui il soprannome della moto “Alloy XR”). Altre importanti novità riguardarono l'aumento delle alette dei cilindri (diventate dodici), che consentì un miglior raffreddamento.  Furono ridisegnate le testate,  fissate ai cilindri attraverso lunghi prigionieri che partivano dal basamento, vennero utilizzate valvole dal diametro più piccolo inclinate tra loro di 68 gradi, invece dei precedenti 90. Il rapporto di compressione aumentò, arrivando a 10,5:1, così come il regime di rotazione, grazie all'utilizzo di bielle più corte che permisero di diminuire ulteriormente la corsa del motore a favore dell'alesaggio. Due carburatori Mikuni da 36mm con valvola a ghigliottina presero il posto di quello singolo. Una caratteristica della XR 750, in questa evoluzione, fu il montaggio da parte di alcuni piloti di due impianti di accensione che potevano funzionare in maniera indipendente uno dall'altro attraverso un pulsante sul manubrio. Ogni impianto agiva sulla coppia di candele (una per cilindro). Uno era a magnete, mentre l'altro funzionava con una piccolissima batteria. Attraverso questo piccolo espediente si poteva intervenire sull'erogazione del motore per renderla più renderla più dolce o aggressiva, a seconda delle necessità e degli stili di guida. In questa prima evoluzione il motore in alluminio arrivò a poco più di 70 cv a 7.600 giri. Ben pochi rispetto alla precedente unità in ghisa......
Si decise ancora una volta di intervenire. Ben presto si raggiunsero gli 80 cv per poi arrivare, nel 1975, al limite dei 90 cv a 9000 giri, con un peso di 134 kg.

La XR 750 non solo fu una delle icone da corsa Harley-Davidson, ma si rivelò moto particolarmente longeva ed ampiamente utilizzata sugli ovali in terra battuta per quasi quarant'anni (!!!!!!)

La XR 750 è anche la moto immortalata nel celebre film di Steve McQueen “On any Sunday”, guidata da Mert Lawwill,  icona delle gare di flat-track per molti anni con Jay Springsteen e protagonista di follie su due ruote con il più famoso stunt-man Evel Knievel.
Il suo utilizzo però non venne limitato agli sterrati, ma anche ai circuiti asfaltati, attraverso appositi adattamenti.  Questa versione venne denominata XR-TT.



giovedì 12 ottobre 2017

Sportster XLCH - 1968

sportster xlch 1000 my 1968 new color military green side right

sportster xlch 1000 my 1968 new color military green side left

sportster xlch 1000 my 1968 new color military green

sportster xlch 1000 my 1968 old paint side right
Before new life

Un Ironhead 1000 viene riportato all'originario splendore dentro al garage di casa!


In questi ultimi tempi ampio spazio è dedicato alla storia dello Sportster, da quando è uscito dalla catena di montaggio, fino ai giorni d'oggi.
Ci occupiamo, quindi, anche di qualche restauro ben eseguito, sebbene non conforme in tutto e per tutto all'originale. Moto che ridotte veramente male che hanno trovato nuova vita. 

Uno dei principali problemi, specialmente nel vecchio continente, è sia la reperibilità di molte parti di ricambio per alcune moto, al fine di avere un restauro che corrisponda alla versione originale. La questione praticamente non si pone per i motori Evolution, di cui vi si possono trovare una quantità di ricambi impressionante. Per i vecchi Ironhead il discorso cambia

Questo XLCH è stato smontato completamente, a causa delle brutte condizioni in cui si trovava e della volontà del proprietario di portarla a nuovo. Il telaio, così come il serbatoio dell'olio, il filtro dell'aria, lo scarico ed altre parti, sono state verniciate a polvere. Il cerchio posteriore è stato raggiato nuovamente, mentre l'anteriore è stato sostituito con un altro non più in lega, ma a raggi anche questo.

Il motore, sebbene funzionasse senza problemi, aveva i suoi anni e diversi chilometri sulle spalle, per cui sono stati sostituiti pistoni,  valvole e lavorate le teste. La sella singola marrone ed una verniciatura verde oliva-militare, seppur non corrispondente all'originale, hanno completato l'opera. 

Purtroppo non si hanno notizie sulla cifra spesa per il restauro, ma pare non sia elevata.
  



martedì 10 ottobre 2017

XLH - 1958/1972

sportster xlh 1958 blue and white

sportster xlh 1958 red and white side right

sportster xlh 1958 red and white side left

sportster xlh 1971 boat tail blue side right
XLH 1971 boat tail

sportster xlh 1971 boat tail green side right
XLH 1971 boat tail

sportster h logo

sportster xlh 1958 adversiting

La versione più potente della XL da cui nacque la CH.


Una trattazione a parte deve essere effettuata per la XLH, anche a causa del fatto che rimase in produzione molto a lungo. 
La moto prese vita quando a Milwaukee decisero di incrementare la potenza alla XL. Ciò avvenne attraverso una serie di interventi come  l'aumento del rapporto di compressione dagli originari 7,5:1  a 9:1, del diametro delle valvole e l'adozione di punterie più leggere. Venne montato un cambio più robusto ed una frizione in bagno d'olio. Queste soluzioni fecero aumentare la potenza del 12%. 
Nel 1957 la moto aveva circa 40cv che divennero 45 nel 1958. 

Il nuovo motore fu chiamato Sportster H, grazie ad un'idea del marketing, per differenziarlo dal semplice motore dello Sportster.  Da qui prese il nome XLH

La nuova XLH era una moto minimalista, destinata a far sognare le giovani generazioni. Durante un arco di tempo di circa dieci anni subì piccoli ma costanti  interventi. Dal 1958, vennero create diverse versioni dello Sportster, contraddistinte da differenti lettere. La C indicava una versione scrambler con ruote tassellate (di cui si poteva scegliere la misura al momento dell'acquisto), la lettera H, come detto, indicava il nuovo motore più potente, mentre la R era riferita alle versioni racing. 

Vi furono, così, numerosi modelli e sigle, a seconda del tipo di motore montato e della connotazione: XL, XLH, XLC, XLCH ed XLR XLR di cui abbiamo già parlato.

Tra il 1970 ed il 1971 la XLH venne presentata con un rivoluzionario parafango posteriore chiamato  “boat tail”, il cui design era ispirato al mondo nautico, creato da Willie G. Davidson  (montato anche sulla Super Glide), ed abbinato ad un faro tondo di chiara ispirazione automobilistica. Queste modifiche cambiarono la linea dello Sportster drasticamente, rappresentando il primo esempio di customizzazione realizzato direttamente dalla Company
La nuova linea non incontrò il successo previsto e di XLH ne furono prodotte meno di 4000 esemplari (contro i 6800 della XLCH prodotte nello stesso anno). 

Il 1972 fu un anno molto importante per lo Sportster, in quanto venne portata la cilindrata a 1000 grazie all'alesaggio maggiorato. La potenza salì a 61 cv con una velocità massima di poco inferiore ai 190 km/h. Tale scelta fu fatta per competere con la concorrenza inglese e giapponese, ma la moto restò comunque vecchia, con notevoli vibrazioni e molto faticosa da guidare. Nonostante fosse stato introdotto il freno a disco, l'evoluzione fu talmente lenta che si cercò in qualche di correre ai ripari. Inoltre altri problemi afflissero la Company. I famigerati sixties,  gli anni della ribellione giovanile, finirono. La moto cambiò improvvisamente pelle diventando un mezzo affidabile non più solo per determinate categorie di persone. A questo cambiamento contribuì molto l'industria giapponese con i suoi quattro cilindri estremamente potenti, ma altrettanto affidabili, che necessitavano di pochissima manutenzione. In breve tempo le Harley-Davidson diventò la moto dei  “delinquenti” e dei poliziotti.  

Dal 1957 al 1972 vennero costruite 82.300 Sportster e, ben presto, altre novità avrebbero riguardato questa moto......


martedì 3 ottobre 2017

XLR - 1961

harley davidson xlr 1961 red side right

harley davidson xlr 1961 red side left

harley davidson xlr 1961 red front right angle

harley davidson xlr streamliner at bonneville with cal rayborn
XLR streamliner and Cal Rayborn at Bonneville

E' tempo di record!


Si trattò di una versione più esasperata della XLCH, nata ad opera del reparto corse per le gare da dirt-track. 

Questa moto si differenziò dalle precedenti H, il cui sviluppo era iniziato nel 1958, per alcuni aspetti che ne esaltavano lo spirito racing. 

Fu adottato lo stesso telaio della KR, ma irrobustito con due tubi nella parte in prossimità del cannotto di sterzo. Gli ammortizzatori, come sulla KRTT, erano stati montati appena dietro alla sella. Il gruppo termico in ghisa venne alleggerito attraverso dei fori fatti a mano.  Il magneto spostato davanti al cilindro anteriore, al posto della dinamo, invece che sul carter destro. Si intervenne su alberi a camme, teste, volani, pistoni e valvole diverse. 
La moto sviluppò quasi 80 CV su 136 chili. Rimase in produzione fino al 1969. 

Nel 1970 Cal Rayborn stabilì il record di velocità di 427 km/h sul lago salato di Bonneville con lo streamliner. 

martedì 26 settembre 2017

XLCH - 1958

sportster xlch 1958 blue and white

sportster xlch 1958 red and white

sportster xlch racing 1958 black and white
XLCH Racing

sportster xlch 1958 adversiting

Nata per gli smanettoni.


Dal 1958 lo Sportster subì degli aggiornamenti miranti ad esaltarne la performance.  
Nacque la XLCH,  ove la sigla CH significava “Competition Hot” (per alcuni la sigla sta per “California Hot”).  

Si trattò principalmente di modifiche riguardanti il motore attraverso la modifica delle testate, dotate di valvole maggiorate, nuovi alberi a cammes dal profilo più spinto, pistoni bombati e punterie alleggerite. 

In linea con il carattere racing della moto, vennero montate delle sovrastrutture minimaliste. Con la XLCH iniziò anche la storia del “peanut tank”, il piccolo serbatoio da otto litri che, per anni, caratterizzerà la linea dello Sportster. In origine la sua adozione fu imposta da necessità legate alle competizioni.  Agli inizi degli anni cinquanta le gare di dirt-track si svolgevano sulla distanza di duecento miglia, oppure cento giri:  perciò abbastanza lunghe. Al contrario, quelle di short-track erano molto corte ed un serbatoio troppo grosso era un handicap.
Accadde, quindi, che il peanut, previsto in un secondo tempo come optional, venne montato, poi, anche sulle versioni scrambler dello Sportster grazie alla sua linea che ben si integrava con il resto della moto. 

La nuova moto venne subito accolta dai giovani smanettoni americani. Gli oltre sessanta cavalli, in grado di far coprire il quarto di miglio in poco più di sessanta secondi, con una velocità di punta pari a centocinquanta chilometri all'ora, fecero diventare la XLCH il mezzo ideale per quanti volevano scorazzare sulle strade. Poiché verrà utilizzata anche per fare fuori strada, nel catalogo della Harley-Davidson furono previsti degli scarichi alti. 

Se il motore fu il punto forte del mezzo, cambio e ciclistica ne rappresentarono gli aspetti problematici. Il primo,  molto fragile,  subirà nel corso degli anni diversi aggiornamenti. La ciclistica, invece, offrirà una grande maneggevolezza a scapito della tenuta di strada. Questo porterà diversi giovani “riders”, non all'altezza del mezzo, ad avere numerosi incidenti e lo  “Sportster knee” diventerà tristemente famoso.  

Per anni la XLCH dominerà incontrastata sulle strade americane. Scomparirà dal catalogo nel 1979, dopo aver ottenuto il miglior risultato di vendite nella sua classe.


lunedì 18 settembre 2017

XL Sportster - 1957

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La prima, vera, moto sportiva, in grado di far sognare i giovani smanettoni.


Finalmente nacque la Sportster, la moto tanto aspettata ed in grado di competere con le inglesi.  
La lettera “X” identificava le moto con i motori dotati di valvole in testa ad utilizzo stradale, mentre la lettera “L” si riferiva il primo stage di elaborazione negli hot-rod.

Fin dalla presentazione, la campagna di promozione della Sportster ebbe come destinatari principalmente coloro che desideravano una moto giovane, moderna e dalle alte prestazioni. 
Lo Sportster riprese non solo alcuni elementi stilistici della KH ma anche  diversi altri particolari, come il basamento del motore e la ciclistica. Si continuò ad adottare la cilindrata di 883 già presente sulla KH, con distribuzione ad aste e bilancieri, quattro alberi a cammes nel basamento,  due valvole in testa per ogni cilindro e forma emisferica della camera di scoppio, come sui motori da corsa. 

Della precedente K, la nuova moto utilizzò il basamento del motore, il carter, il cambio, e la trasmissione primaria della stessa.

La cilindrata 883 fu il risultato di un maggiore alesaggio ottenuto con pistoni e valvole più grosse mentre diminuì, invece, la corsa. Questo permise di avere  maggior numero di giri e maggior potenza.
Le teste erano le parti più recenti del motore: inizialmente furono costruite in ferro, ma dopo pochi anni vennero costruite in lega, materiale che permetteva una miglior combustione ed un miglior raffreddamento.  

Quando vide la luce, lo Sportster ebbe come optional la verniciatura bicolore nera e rosso, che in Harley-Davidson chiamavano “Pepper Red”. Il freno anteriore era a tamburo. L'accensione inserita all'interno di un coperchio cromato sul carter destro del motore. Gli scarichi si univano nella parte bassa per dare luogo ad un due-in-uno.

Il telaio era in tubi di acciaio e la parte centrale dello stesso ne aveva uno di maggior diametro. Dall'inizio del cannotto di sterzo, passando per la sella, fino ad arrivare alla parte posteriore, correvano due tubi bassi, più piccoli di diametro, che passavano sotto al motore per poi risalire dietro allo stesso nel tratto che andava ad unirsi al forcellone.
Il secondo paio di tubi scorreva fra il congiungimento posteriore e la zona dove venivano montati gli ammortizzatori.

Le sospensioni erano di tipo convenzionale:  forcella telescopica e due ammortizzatori posteriori. La lubrificazione era di tipo “carter a secco” , con il serbatoio dell'olio collocato dietro al cilindro posteriore, sul lato destro, sotto la sella. Sulla parte sinistra del serbatoio dell'olio vi era l'alloggiamento per la batteria da 6 volts. Lo Sportster era una moto moderna che aveva circa 40 cavalli e con un motore molto più robusto rispetto al vecchio KH.  

La rivista americana Cycle, nel marzo del 1957, parlò di accelerazione terrificante e di una elevata velocità di crociera dovuta ad un motore molto solido. Tuttavia, la stessa rivista fece diverse critiche: le sospensioni erano rigide e l'acceleratore aveva un funzionamento irregolare ai bassi regimi. Inoltre, l'escursione della leva del cambio era notevole. I tester si espressero in maniera non univoca su diversi problemi riscontrati durante le prove. 

Un'altra questione riguardava il peso della moto, che la Harley-Davidson dichiarava fosse di 495lb (oltre 224 kg) ma non specificava se fossero a secco o meno.  
La stessa rivista parlò di un interasse minore rispetto a quello della KH, ma non specificando di quanto. Discorso analogo sulla capacità del serbatoio del carburante che diceva essere intorno ai 4.1gal (quasi 16 litri), mentre la Harley-Davidson affermava si aggirasse attorno ai 4.4gal  (oltre 16 litri).  Sempre la rivista Cycle parlò di una velocità massima di 101,4 mph (quasi 165 km) con una accelerazione sul quarto di miglio pari a 15.03sec.

Nonostante queste critiche, nel primo anno di produzione le vendite della XL furono il doppio rispetto a quelle della KH.
La Sportster era nata sotto una buona stella!