Harley-Davidson Sporster: la storia, le special e la pubblicità. Una sezione dedicata alle Buell motorizzate Harley-Davidson.

mercoledì 25 marzo 2020

FS1200R

fs1200r sportster 1200 roadster flattrack

fs1200r sportster 1200 roadster flattrack

fs1200r sportster 1200 roadster flattrack

fs1200r sportster 1200 roadster flattrack

fs1200r sportster 1200 roadster flattrack

fs1200r sportster 1200 roadster flattrack

Da Speed & Custom arriva questo interessante Sportster da flattrack.


C'è molto di italiano in questo Sportster, dato che è stato costruito in collaborazione con i ragazzi di Free Spirits (l'azienda italiana produttrice di molte parti speciali per Harley-Davidson e non solo....) e proprio per questo, in qualche modo, mi piace ancora di più. Non si è trattato di prendere parti e montarle su una moto, ma di studiare il progetto con l'azienda italiana.

La lista è lunga: forcellone, sotto telaio in vetroresina originariamente creato per l'XR1200, risers del manubrio, pedaline ecc 
Qualche altro componente è stato realizzato a mano , come le tabelle porta numero ed il codone in alluminio,  qualche altro è stato prelevato tra gli “avanzi” dell'officina, come il serbatoio del carburante di una Street Rod 750, che si trova più infossato sul telaio, offrendo una linea più pulita a differenza di quello originale. 

Per creare una vera moto da ovale in terra battuta, si è dovuto ricorrere alla sostituzione del cerchio posteriore con uno più grande del diametro di 19 pollici (come all'anteriore) ed al montaggio di pneumatici specifici (Dunlop DT3 flattrack). Questa scelta ha permesso di avere un assetto uniforme senza dover lavorare troppo sulla lunghezza degli ammortizzatori o della forcella, sebbene al posteriore si sia optato per degli Ohlins Blackline che alzano un poco il retrotreno.

Sul motore sono stati utilizzati gli stessi accorgimenti riservati alla ciclistica: pochi interventi e ben mirati: il filtro dell'aria proviene dal ricco catalogo Harley-Davidson ed è stato girato all'indietro per richiamare la linea della “Alloy XR750” (quella della seconda serie con le testate in alluminio ed il doppio carburatore) e sono stati montati due scarichi alti interamente progettati in casa e rivestiti di ceramica.
La verniciatura rosso pastello esalta ancora di più questo 1200 Roadster di ultima generazione. 

Una vera moto da flattrack che si può tranquillamente replicare in casa senza spendere una fortuna!!!!!!   


lunedì 23 marzo 2020

Ottime prospettive per Buell. Poi, invece......










La Bike Week di Daytona del 1998 mi fece illudere che con il marchio del “pegaso” avrei finalmente trovato la quadratura del cerchio.


Le prime Buell iniziarono a vedersi in Italia nel 1997 quando Carlo Talamo ne avviò ufficialmente l'importazione. Fino ad allora solo pochissimi avevano conosciuto questo marchio, grazie a qualche esemplare di importazione. Parliamo di persone che si potevano contare sulle dita di una mano. Da poco erano state importate le Triumph attraverso la Numero Tre e Carlo Talamo stava costruendo la fortuna del marchio inglese in Italia, ma erano gli inizi. Il mercato, a parte la Triumph Speed Triple, aveva proposto solo una “nuda” che avrebbe rappresentato il punto di riferimento in  quel segmento per molti anni a venire: la Ducati Monster (!!!!). La produzione sostanzialmente si divideva tra sportive, enduro, custom (seguendo il fenomeno Harley-Davidson tutte le case giapponesi ne proposero almeno un modello) e turistiche. Il concetto delle cafe racer si stava sviluppando, mentre quello delle “naked” era ancora allo stato embrionale. 

Sulla sorta di queste premesse le prime Buell arrivate in Italia suscitarono molto interesse, anche perchè Carlo Talamo aveva fatto vedere che gli Sportster non erano solo moto da passeggio ma ci si poteva divertire in pista, organizzando il Trofeo Short-Track e mettendo appunto dei kit dedicati.

Detto in parole povere: le Buell S1 ed M2 Cyclone erano le moto che “servivano” al mercato in quel momento

Da una parte c'era chi si iniziava a stancare del predominio Ducati (Monster) che andava avanti ininterrottamente dal 1992, rappresentando praticamente l'unica scelta. La Honda aveva iniziato la produzione della Hornet 600, ma non era una moto che “colpiva”. 

Buell invece suscitava emozioni forti sia per la storia del marchio, legata ad una dimensione artigianale di pura passione, sia per le prestazioni che promettevano, non tanto in termini di cavalli quanto invece, a divertimento puro. Per la prima volta era arrivata una moto destinata a sovvertire i canoni della sportività: grande coppia e maneggevolezza incredibile grazie a quote ciclistiche di una  “duemmezzo” sportiva. 

Carlo Talamo credeva molto in Buell ed eravamo in molti a vederla in quel modo, anche se non sapevamo cosa aspettarci per il futuro. Non appena arrivati in Italia i primi esemplari nel 1997 comprai la M2 Cyclone che per me rappresentava la quadratura del cerchio. Avrei potuto continuare a frequentare il mondo Harley (….a me per la verità interessava solo quello legato alla Numero Uno....) facendo i vari “Pallequadre” (ora Hog Inverno) ma, nel contempo, sarei potuto uscire con qualche amico con moto sportiva, magari facendo pure una scappata in pista.

Seppur Buell era stata ben accolta dalla stampa e da molte persone che gravitavano attorno a Carlo Talamo (vedasi gente tipo Marco Lucchinelli), da altri chi comprava quelle motociclette era considerato come un “mentecatto”. Ricordo un episodio che mi accadde quando nell'Aprile del 1997 andai a Misano per vedere il Mondiale Superbike. 
Mi stavo aggirando nei paddock quando trovo il box Honda e chiedo del grande Aaron Slight con l'intento di farmi una foto con lui. Indosso un gilet con il logo Buell. Gli uomini Honda mi squadrano e cominciano a ridermi in faccia dicendo mi che le Buell non valgono nulla e la moto si sarebbe rotta subito. In una frazione di secondo esplodo e li mando a quel paese quasi finendo in rissa.....

Quando arrivai a Daytona circa un anno dopo da quell'episodio, capii che dietro a Buell c'era più di quanto pensassi. Era stato organizzato un trofeo e messo a punto un kit per esso. C'erano delle persone all'interno di Harley-Davidson che si dedicavano solo ed unicamente a Buell. Iniziai a chiedere a tutti: volevo sapere di tutto e di più. Conobbi anche una ragazza dello staff Buell. La tipica americana non bellissima ma di una simpatia estrema che regalò a me ed ai miei amici la maglietta che qui vedete, con la preghiera di indossarla unicamente non appena tornati in Italia. Ovviamente dopo qualche tempo mi sdebitai mandandole, tramite l'amico Farinelli che andava ad una “convention” Harley-Davidson negli States, un pensiero. So che ne fu molto contenta. Purtroppo persi i suoi contatti. Si chiamava Jackie.
Tornato in Italia ero convinto che Buell avrebbe spiccato letteralmente il volo, ma dopo un paio di anni capii che forse non sarebbe stato così. Quando Carlo Talamo morì, nel 2002, ne ebbi la certezza. A parte alcuni appassionati e qualcuno del suo staff, era stato stato forse l'unico a credere realmente nelle potenzialità di quelle moto. Il resto è mera cronaca dei giorni nostri.


mercoledì 18 marzo 2020

HD Bologna







Ha riscosso successo alle Battle of The Kings immortalando le sue special in bei messaggi. 


Non conosco personalmente il dealer di Bologna, ma ho visto qualche sua moto e non mi è dispiaciuta affatto. Ho raccolto qualche pubblicità anche delle moto che hanno avuto un notevole riscontro tra il pubblico degli appassionati, ma quella che mi è piaciuta di più è forse la più semplice. Quella forse diretta ai giovani d'oggi: “C'è chi spende soldi ogni mese per guardare il mondo da un piccolo schermo”.  Alla frase segue l'interrogativo se sia davvero bello. 
La pubblicità del 2016 si inserisce in un contesto di vita che ha visto un netto calo delle vendite di motociclette ed un appiattimento dei rapporti umani. Mi piace perchè incita a riscoprire valori e sensazioni tramite uno strumento: la motocicletta. Che nello specifico è un Forty-Eight.  

lunedì 16 marzo 2020

Terra di confine!!!








Un chopper rozzo e selvaggio che sembra uscito da un film di Mad Max.


Concepire una Harley-Davidson del genere è quanto di più lontano ci sia dal modo in cui molti intendono marchio americano: moto da fighi con cui andare in giro e talvolta viaggiare. Ma le Harley-Davidson restano soprattutto mezzi robustissimi con cui macinare miliardi di chilometri e gli Sportster quanto di più vicino alla concezione europea

Fatte queste considerazioni iniziali, quando si vede una simile realizzazione, oltretutto sulla base di un modello molto ricercato come l'XLCH del 1964, si rimane interdetti. Nessuno spazio a fronzoli estetici e metallo a vista. Da lontano appare un vecchio rottame che si trascina lungo le highway statunitensi. Almeno fino a che non lo si osserva attentamente. 

E' tutto studiato molto bene: dal lavoro effettuato per trasformare il telaio stock in rigido, abbinato a cerchi da 19 pollici all'anteriore e 18 al posteriore, ai tubi di raccordo del serbatoio dell'olio spostato sul lato sinistro, ai numerosi rinvii necessari per ottenere un cambio "suicide" (sul lato destro), alla piccola sella in lamiera (....se così si può chiamare...). 

Il motore non  subisce alcuna modifica tranne un carburatore Mikuni senza filtro dell'aria ed un paio di corti scarichi liberi. 


mercoledì 11 marzo 2020

....alcune pubblicità....HD Avellino




Sono giorni terribili. Il nostro paese sta combattendo una guerra contro un nemico invisibile e siamo tutti sconvolti e spaesati. Non sappiamo quando ne usciremo, ma dobbiamo credere in qualcosa. Dobbiamo credere che si potrà tornare alla normalità

Ho pensato, allora, di pubblicare vecchie pubblicità raccolte sullo Sportster di qualche dealer italiano, con l'augurio che TUTTE le aziende del nostro paese, non solo quelle legate al settore delle moto, possano riprendersi da questa tragedia ed, addirittura, proliferare. 

Inizio con il dealer di Avellino. Tre pubblicità. Mi piace la frase “Nuovi Sportster. A tua immagine è impertinenza.”   Che, nemmeno a farlo a posta, sovrasta i modelli più venduti:  883 Iron e Forty-Eight. Lungimiranza o mera intuizione ?????

Dimenticavo. Diversamente dagli altri post, questi dedicati alle pubblicità dei dealer saranno marcati in rosso, il colore della passione. Perchè lottare per riprendersi è un obbligo!


lunedì 9 marzo 2020

Sportster "STP" Richard Petty

sportster custom richard pretty




Di questa moto mi ero occupato in prima persona per la rivista Special Cafe nel lontano 2012. Dopo tanti anni incrocio di nuovo la sua strada...


All'epoca ricordo che rimasi molto incuriosito da questo Sportster. Mi ricordava molto le preparazioni in chiave "sports" che andavano di moda in Europa negli anni novanta, quando il concetto di  "cafe racer" era praticamente sconosciuto e riguardava unicamente una piccola cerchia di cultori delle vecchie moto inglesi

Si partiva solitamente da uno Sportster al quale si elaborava il motore secondo precisi canoni, montando poi la ciclistica di una moto sportiva in produzione. Questo modo di elaborare le moto rimase circoscritto a quel periodo e quando partimmo per il servizio fotografico cercai di cogliere ogni aspetto della trasformazione. Notai immediatamente il lavoro sul telaio, sopratutto in ordine all'adattamento di forcellone e cerchi in lega. 

Ora trovo la moto evoluta grazie all'intervento dell'amico Maurizio Rigamonti che l'ha migliorata negli anni attraverso un lungo lavoro fatto nel tempo libero   "....da quando l'ho acquistata nel 2014 che non aveva nemmeno le frecce e quell'orribile scarico a tromba... e se la ricordi visto che hai scritto un articolo che io ho   noterai il cambiamento ed il risultato ottenuto negli anni con tanta dedizione, migliaia di euro e una quantità di ore di lavoro fatte con passione."

I lavori effettuati sono tantissimi, di cui la verniciatura STP che richiama l'auto da corsa del campione Nascar Richard Petty, non è il più importante.
Lo Sportster del 1991 ha subito un notevole aumento di potenza grazie ad una formula collaudata negli anni novanta: cilindri alesati per farci entrare due pistoni Wiseco che portano la cilindrata a 1200, aste distribuzione Screamin' Eagle, cammes Andrews N2, bobina dell'accensione Hi Performance, centralina Dyna, carburatore Mikuni HSR da 42mm con filtro dell'aria Hypercharger Kuryakyn, scarico due-in-uno Supertrapp (!!!). Per contenere la potenza sono stati montati dischi frizione in kevlar della Barnett.

Per rendere sfruttabile l'aumento di potenza, Maurizio ha prestato molta cura alla parte ciclistica, attraverso una forcella Ohlins a steli rovesciati da 43mm,  forcellone posteriore Kruger in alluminio saldato a mano, ammortizzatori posteriori Bitubo, cerchi in lega da 17 pollici con pneumatici Michelin Street. La Ohlins fornisce anche l'ammortizzatore di sterzo. Ovviamente si è dovuto pensare anche ad un impianto frenante adeguato, così un doppio disco all'anteriore con pinze freno a sei pistoncini sono adeguati a calmare i bollenti spiriti. 

Se solo Richard Petty vedesse questo Sportster......  



mercoledì 4 marzo 2020

Carbon dragster!!!!

sportster xlch 1969 carbon dragster

sportster xlch 1969 carbon dragster

sportster xlch 1969 carbon dragster

sportster xlch 1969 carbon dragster

sportster xlch 1969 carbon dragster

Carbonio a profusione ed elementi di modernità connotano questo vecchio Ironhead.


Portare a nuova vita un vecchio XLCH del 1969 è  “….cosa buona e giusta…..”, anche se sulle vecchie moto andrebbe fatto un restauro in modo da riportarle alle condizioni originali o, quantomeno, effettuare piccoli miglioramenti. Qui abbiamo un Ironhead totalmente stravolto e modernizzato, seppur con ottimi risultati, che lasciano numerosi interrogativi in ordine alla scelta effettuata

Il motore, interamente ricostruito, è stato prima verniciato di nero ed accuratamente bilanciato, subendo l’aggiunta di molti elementi nuovi come i carter in carbonio e la conversione del cambio che da destra viene portato a sinistra. Un carburatore S&S Super E ed un paio di corti scarichi “drag-pipes” garantiscono assoluta affidabilità al vecchio Ironhead che, attraverso questi interventi, rimane praticamente originale, mantenendo anche l’accensione a magneto

Al telaio rigido in acciaio cromato, verniciato in nero carbonio (l’unico elemento ammortizzante è sotto la piccola sella), viene abbinata la forcella di una Ducati 916 con cerchio in carbonio e pinze Brembo. La carrozzeria è in fibra di carbonio (ovviamente) si lega con molte parti in acciaio bene a vista. Il peso della moto è di 162 kg (!!!!!!). Stranamente non è stato tolto l’avviamento a pedale, anche se la logica potrebbe essere quella di far risaltare elementi di modernità con altri tipicamente vintage. La moto è bellissima anche se sarebbe stato più opportuno restaurare il vecchio XLCH ed utilizzare un più moderno Evolution per costruire questo dragster.